giovedì 18 aprile 2019
La lezione della paziente «vegetativa» morta pochi giorni fa. Il padre Romano: si parla solo di eutanasia, come se il problema fosse quello. I tanti volontari: "Era lei a insegnara a noi l'amore vero"
L'arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi visita Cristina Magrini il giorno del suo compleanno

L'arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi visita Cristina Magrini il giorno del suo compleanno

COMMENTA E CONDIVIDI

«Se fossi un buon padre dovrei ucciderla». È sempre stato uomo di poche parole ma pesanti come macigni, Romano Magrini, il padre di Cristina, morta a Bologna il 10 aprile dopo 38 anni di stato 'vegetativo' (o di 'minima coscienza'). Questo appello, rugoso come lui, risale a dieci anni fa, quando l’Italia era attraversata dal dibattito sulla vita o la morte (indotta) nelle persone in stato 'vegetativo'. «La cosa sarebbe presto liquidata, per la pace di tanti e la riflessione di pochi. Dunque, chi si occuperà di Cristina alla mia morte?». Era questo il vero cratere sempre aperto nel suo cuore, dal 18 novembre 1981, giorno in cui la figlia 15enne fu investita sulle strisce pedonali sotto casa e non si 'svegliò' più. Ma ora che Cristina se n’è andata per una polmonite, Romano, 86 anni, scuote la testa, «adesso mi manca, credevo di cavarmela invece le giornate senza di lei sono terribilmente lunghe». Già, dopo 38 anni insieme, notiamo noi... Ma Romano li ha contati uno per uno quei giorni di assistenza estenuante e insieme innamorata, «dopo 37 anni e 4 mesi di simbiosi», corregge. «È andata bene, avevo il terrore di morire prima io, però se stava un altro po’ con me...». Ne hanno parlato tutti i giornali. Non di Cristina in stato di minima coscienza per 38 anni (che è già una notizia), non di suo padre notte e giorno al suo fianco con fedeltà impressionante (che lo è ancora di più), ma del binomio Cristina/Romano, una forza che ha cambiato decine di vite, e che oggi non muore con lei. A partire dalla onlus 'Insieme per Cristina', nata a Bologna nel 2012 quando un gruppo di persone di diversa estrazione, nessuna coinvolta direttamente nel problema 'stato vegetativo', furono fatalmente attratte da quel magnete di positività che era Cristina.

«Negli ultimi 7 anni è vissuta con suo padre nel Villaggio della Speranza aperto dalla diocesi di Bologna a Villa Pallavicini, circondata da tutti noi – racconta Francesca Golfarelli, imprenditrice, madre di tre figli, amministratrice di sostegno di Cristina – ma nei 31 anni precedenti ha sempre catalizzato decine di volontari ovunque la sua famiglia si trasferisse», prima a Pioppe di Salvaro (Bologna), poi a Sarzana (La Spezia), dove per vent’anni nei 365 giorni dell’anno dieci volontari si alternavano attorno a lei. Qualcosa di inspiegabile, se si pensa che «l’impegno era del tutto gratuito», non nel senso del denaro ma «perché era chiaro che non sarebbe 'guarita', l’obiettivo non era quello». Però ci prova, Francesca, a spiegare l’inspiegabile: «Attorno a sé Cristina sviluppava relazioni umane incentrate sull’amore, la sua persona apparentemente inerme si animava dell’amore che riceveva e che soprattutto dava». Per 38 anni papà Romano non molla mai, gira l’Italia e il mondo, cerca cure, chiede soluzioni, esige risposte, lotta per un’assistenza adeguata, ma è dura in un mondo che «fa solo discorsi sull’eutanasia, come se il problema fosse questo» (torniamo all’appello del 2010), «qui il vero accanimento è fare nulla». Nel 1992 a soli 54 anni sua moglie Franca si ammala di tumore e nei mesi del fine vita Romano ottiene di ricoverare nella stessa stanza anche la figlia, «fino all’ultimo voleva alzarsi per accudire Cristina ma non glielo permettevo ». Poi ha proseguito lui per tutt’e due, come racconta ancora Golfarelli: «La sua genitorialità è stata paternità e maternità insieme».

Nei vent’anni di Sarzana, dove Romano approda perché c’è già un altro ragazzo nelle condizioni di sua figlia, singoli volontari e intere famiglie della parrocchia restano 'invischiati' nell’amore che Cristina ineluttabilmente sprigiona, come poi accadrà a Bologna, dove il sindaco Pd, Virginio Merola, la fa cittadina onoraria (al suo funerale l’altro giorno portava la fascia tricolore) e Gianluigi Poggi, ex direttore generale nel mondo dei media, oggi presidente di 'Insieme per Cristina', mette a servizio la sua competenza a 360 gradi affrontando il ginepraio di burocrazie e normative. «Uno per uno, ci ha fatto sentire unici», è il racconto dei volontari, che oggi non si sentono sollevati da una fatica ma più soli. «Nella vita fai tante cose, poi quelle che valgono si contano su una mano. Ecco, io sono stato amico di Cristina».

Alcuni ricordano le sue lacrime il giorno in cui lasciava Sarzana, altri i suoi tanti sorrisi (l’ultimo il 5 gennaio 2019, al coro di auguri per il 53° compleanno). Suo padre fatica ad ammetterlo e anche questo è amore: troppo duro pensare che Cristina sentisse tutto, meglio credere che fosse 'un vegetale'. «Tutti dicono che capiva, ma io non credo»... Salvo poi inciampare in mille ricordi, «in questi anni l’ho sempre portata a letto io in braccio: con me era contenta, con gli altri si irrigidiva». E «mai l’ho nutrita con quella roba» (la peg, ndr), «sempre per bocca, faceva ben capire cosa le piaceva mangiare». Cos’ha pensato Romano nei giorni in cui Eluana veniva uccisa? «Ho detto bravo Englaro!». Ma... e quindi? «Poi ho capito che non era facile, lui non ci era mai vissuto insieme e ormai la vedeva come un’estranea, ma ogni relazione ha bisogno di uno scambio e Cristina suscitava il massimo dando il minimo. Se non l’hai lì con te non puoi sapere...». © RIPRODUZIONE RISERVATA

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: