martedì 23 ottobre 2018
Sotto accusa l'articolo 580 del codice penale che punisce chi induce o aiuta una persona a togliersi la vita. I legali di Cappato: si preveda una scriminante per "fini solidaristici"
Cappato e la morte di dj Fabo, attesa per sentenza della Consulta
COMMENTA E CONDIVIDI

È attesa per mercoledì 24 ottobre la sentenza della Consulta sulla costituzionalità dell'articolo 580 del Codice penale, che punisce chi induca o aiuti una persona a togliersi la vita. Una questione sollevata durante il processo a Marco Cappato, esponente radicale e tesoriere dell'associazione Luca Coscioni per la libertà di cura, che accompagnò in Svizzera dj Fabo, tetraplegico in seguito a un incidente, a morire.

Diritto di vivere, diritto di morire. Ma prima ancora: che cos’è il vivere, che cos’è il morire? Non solo di leggi, ma anche di bioetica hanno dissertato in Corte Costituzionale gli avvocati di Marco Cappato, Filomena Gallo e Vittorio Manes. A riportare il tema sul versante strettamente giuridico è intervenuta Gabriella Palmieri, l’avvocato dello Stato chiamata dalla Presidenza del Consiglio a difendere l’articolo 580 del Codice penale. Una previsione incostituzionale secondo la Corte d’Assise di Milano, che ha sospeso il procedimento contro Marco Cappato chiedendo alla Consulta di esprimersi sul punto, e – ovviamente – pure secondo Cappato, incriminato innanzi a quel collegio per aver aiutato a morire Fabiano Antoniani, conosciuto come dj Fabo. Una norma invece perfettamente corrispondente alla nostra Carta Fondamentale secondo il Governo, che ha chiesto alla Corte di ritenere la questione inammissibile o quantomeno infondata.

L’udienza, come sempre, si è aperta con la sintesi della causa pronunciata dal giudice relatore, in questo caso Franco Modugno. E subito si è profilato uno dei nodi cruciali su cui verte la vicenda: assicurare il diritto costituzionale alla vita significa preservare sempre e comunque l’esistenza biologica, oppure – in certi casi – nel proteggere la libertà e la consapevolezza di decidere come e quando morire?

Sostenendo questa seconda interpretazione, Gallo ha chiesto alla Corte di ritenere incostituzionale l’articolo 580 del codice penale nella parte in cui non prevede una scriminante per chi - agendo secondo “fini solidaristici” – aiuti una persona con sofferenza grave e irreversibile ad accedere al suicidio assistito, e in ogni caso si limiti alle azioni antecedenti quella mortale.

Secondo la sua visione, oltretutto, “l’effetto dell’articolo 580 è quello di mettere in solitudine le persone vicine a quelle gravemente malate e irreversibilmente sofferenti”, oppure di esporre le prime “al rischio di procedimenti giudiziari”. Tanto più che “la vicinanza dei familiari – è sempre quanto pronunciato nell’arringa – potrebbe far venir meno il proposito suicidiario”. Morale: “La rigidità dell’articolo 580 che tratta indistintamente condotte eterogenee (l’istigazione e l’aiuto nel suicidio, ndr) – così ha concluso – invita la Corte a intervenire”. È stata poi la volta del collega Manes, che ancor più di Gallo ha posto l’accento su questioni esistenziali: “È ancora suicidio il congedo dalla vita in situazioni in cui il corpo si è ormai congedato dalla persona?", si è chiesto. E subito, rispondendosi, ha affermato che “non è certo questa la fattispecie che aveva in mente il legislatore del 1930”, quello che scrisse l’articolo posto al giudizio della Consulta.

Da qui, l’invito alla Corte affinché rinunci “a un paternalismo irragionevole”, e al contrario “accolga un diritto penale del rispetto”.

Ma ecco che Palmieri, chiamata a difendere la legge, nel suo breve intervento ha evidenziato una circostanza di diritto che sta a monte di tutte queste considerazioni: “Per costante interpretazione giurisprudenziale – ha scandito – lo sforzo interpretativo del giudice a quo (la Corte d’Assise di Milano, ndr) viene letto come condizione di ammissibilità del giudizio costituzionale”. Vale a dire che la Consulta deve dichiarare inammissibile qualsiasi questione di legittimità costituzionale laddove il giudice da cui proviene – potendolo fare – non abbia interpretato l’articolo sospettato d’illegittimità secondo parametri conformi alla nostra Carta fondamentale. E secondo l’avvocato dello Stato la vicenda costituisce proprio uno di questi casi, poiché il 580 “già ora consente una graduazione della pena (text)”.

Non solo: entrando nel merito della questione, Palmieri ha sottolineato come – a differenza di quanto sostengono Corte d’Assise milanese e Cappato – è proprio questa norma a proteggere “l’autodeterminazione della persona da fattori esterni”, senza contare che la stessa Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo) ha lasciato ai legislatori nazionali “il margine d’apprezzamento” per disciplinare questi temi. Istanze rimaste pressoché inascoltate.

In questo giudizio di legittimità costituzionale erano intervenuti ad opponendum - vale a dire per contrastare i sospetti d’incostituzionalità della norma - anche il Centro studi Rosario Livatino (con gli avvocati Mauro Ronco e Stefano Nitoglia), l’associazione Vita è (assistita da Simone Pillon) e il Movimento per la vita (patrocinato da Carlo Casini e Ciro Intino), ma la Corte - ritenendo che non avessero un interesse diretto rispetto alla vicenda trattata - li aveva estromessi dalla causa.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: