giovedì 31 ottobre 2019
Un’équipe italiana documenta gli effetti negativi sul figlio del consumo di cannabis durante i nove mesi di attesa
Il team dell'Università di Cagliari: Miriam Melis è la quarta seduta da sinistra

Il team dell'Università di Cagliari: Miriam Melis è la quarta seduta da sinistra

COMMENTA E CONDIVIDI

Niente alcol, sigarette non ne parliamo, no ai cibi grassi, molto movimento... Lo stile di vita delle donne in attesa di un figlio è giustamente diventato un tema importante, con il fiorire di consigli e divieti: per il bambino servono nove mesi di vita sana. Le rilevazioni sulle future madri certificano però il raddoppio negli ultimi 15 anni nei Paesi occidentali delle donne che in gravidanza fanno uso di cannabis: dal 6 al 12%. Eppure, nessuno ne parla.

A diradare la nebbia arriva ora lo studio di Miriam Melis, professore associato di Farmacologia al dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Cagliari, condotto insieme all’Accademia delle Scienze di Budapest e all’Università del Maryland a Baltimora. Melis è alla guida di un team al quale tiene molto («perché nessuno vince da solo»): ne fanno parte Mauro Congiu, Francesco Traccis, Valeria Serra, Roberto Frau, Paola Devoto, Claudia Sagheddu e Pierluigi Saba. A tutti loro si deve un risultato che si è guadagnato spazio su Nature Neuroscience e che la scienziata sarda ci racconta così.

Cosa chiarisce la vostra ricerca?

Spiega alcuni dei meccanismi neurobiologici che sottendono ai disturbi del comportamento (come iperattività, impulsività, aggressività, propensione a episodi psicotici, uso precoce di sostanze d’abuso) e cognitivi (disturbi dell’attenzione e del- l’apprendimento) dei figli di madri che hanno fatto uso di derivati della cannabis durante la gravidanza. Abbiamo svelato una iperattività dei neuroni dopaminergici che rappresenta di per sé una caratteristica della vulnerabilità a diversi disturbi neuropsichiatrici (come schizofrenia, depressione, tossicodipendenza).

Cosa l’ha indotta a seguire questo filone di ricerca?

Mi interessa comprendere quali siano i meccanismi che sottendono la vulnerabilità ai disturbi neuropsichiatrici. Questi dipendono dall’interazione tra fattori individuali – genetici e biologici – e ambientali. La vulnerabilità dipende soprattutto da quando questa interazione avviene durante il neurosviluppo (il nostro cervello matura completamente solo tra i 23 e i 25 anni). I fattori ambientali sono quelli che possiamo in qualche modo controllare e cambiare, e tra questi l’esposizione precoce a sostanze d’abuso come le droghe è un fattore predisponente che possiamo modificare. La cannabis rappresenta la droga illegale più usata dalle donne incinte nei Paesi occidentali, e il suo uso e consumo è aumentato con la legalizzazione perché percepita sicura e naturale. È addirittura prescritta negli Usa per le nausee mattutine e per l’ansia alle donne incinte. In più, siccome la si crede una droga 'leggera', la popolazione americana al 40% pensa che non ci sia niente di male se una donna ne fa uso in gravidanza. Questo è il motivo per cui negli ultimi 15 anni la percentuale di donne che ne fa uso è raddoppiata, in netto contrasto con l’uso di alcol o il fumo di sigarette in gravidanza, che invece è diminuito.

Come mai si insiste sui pericoli di fumo, alcol e alimentazione non corretta quando si attende un bambino, e non si parla mai di uso della cannabis tra le future mamme?

Per una mancanza di consapevolezza sui rischi dell’uso della cannabis – è considerata una droga 'leggera', una 'medicina', e poi è naturale – la cui legalizzazione è spinta sempre più in diversi Paesi, incluso il nostro. Quanto all’uso in gravidanza, l’Italia segue gli altri Paesi occidentali.

L’uso della cannabis 'a scopo ricreativo' è assai diffuso tra gli adolescenti. Quali sono gli effetti neurologici?

Negli ultimi 20 anni la percentuale di Thc nei derivati della cannabis è aumentato esponenzialmente. A questo si aggiunge che il rapporto con l’altra molecola che in qualche modo ne attenua gli effetti (Cbd) è aumentato a favore del Thc: per intenderci, prima il rapporto era di uno a uno, adesso ci sono preparati in cui il Cbd non è neanche presente e il Thc è al 25%, fino all’olio in cui è intorno al 70-80%. Rispetto alle generazioni che ne hanno fatto uso negli anni 70 e 80 parliamo quindi di prodotti diversi. Bisogna comunque distinguere gli effetti immediati (sbalzi d’umore, paranoie, psicosi, difficoltà a ragionare e ricordare) da quelli da un uso prolungato (depressione, ansia, manie suicide, psicosi, schizofrenia). Infatti la manifestazione di malattie psichiatriche quali la depressione raddoppia se un soggetto giovane adulto (18-25 anni) ha fatto uso di cannabis in adolescenza. Sono dati dell’agenzia americana che studia gli effetti delle sostanze d’abuso.

Che differenza c’è tra droghe leggere e pesanti?

Tutte le droghe modificano il cervello e in particolare il circuito della gratificazione e della motivazione, che siano legali (nicotina, etanolo) o illegali (cocaina, eroina, cannabis). Le droghe legali non hanno un impatto minore sul nostro cervello rispetto a quelle illegali: non è per questo che sono legali, ma solo per questioni economiche.

C’è dibattito sulle effettive proprietà terapeutiche della cannabis. Cosa ne pensa da scienziata?

Le proprietà terapeutiche della cannabis sono innegabili (ad esempio, contro la nausea da chemioterapici, per aumentare l’appetito in pazienti affetti da tumore o Hiv, ma anche nell’anoressia o nel trattamento della spasticità muscolare della sclerosi multipla) ma bisogna distinguere: innanzitutto tra chi è il destinatario (in termini di età, giacché interferisce con il neurosviluppo) e sulle indicazioni terapeutiche in base a studi clinici che ne dimostrino efficacia e sicurezza. È ovvio che il 'fai da te' riduce di molto il profilo di sicurezza perché non si può controllare la percentuale di fitocannabinoidi presenti (come Thc e Cbd), e quindi non si possono predire le reazioni avverse.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: