sabato 23 dicembre 2023
Ha voluto affidarla a una parrocchia la mamma - rimasta anonima - che ha collocato la piccola nella culla termica dove già un altro bambino era stato accolto nel 2020. A rinvenirla il parroco
Don Antonio Ruccia con Maria Grazia e un operatore del 118

Don Antonio Ruccia con Maria Grazia e un operatore del 118 - Ansa

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Sembra una storia fatta apposta per il Natale. Una di quelle storie a lieto fine, ideate per ricreare l’atmosfera natalizia. Ma è solo uno dei – numerosi – casi in cui la cronaca si incarica di andare oltre la nostra fantasia.
Il protagonista principale questa volta è una femminuccia. La fonte di calore non è il fiato proveniente dal bue e dall’asinello, e ad accogliere il pargoletto non è una mangiatoia ma una culla riscaldata di un locale parrocchiale. Quello successo ieri a Bari «è, a dir poco, una coincidenza stupenda». A parlare è don Antonio Ruccia, parroco di San Giovanni Battista, comunità del quartiere di Poggiofranco, che ieri di prima mattina ha avuto il dono inatteso di tenere tra le sue braccia una bimba di pochi giorni che qualcuno ha deposto nella culla termica allestita in un locale della parrocchia. Il ritrovamento è avvenuto alle 7.15, racconta don Antonio, ora in cui è squillato il cellulare attivato automaticamente, facendo sobbalzare il sacerdote che subito si è recato nel locale che ospita la “culla per la vita”. Questa, concepita per permettervi di deporre, totalmente protetti, i neonati, è dotata di sensori. Quando un neonato viene posto sopra la culla, il peso attiva un allarme sul telefono di don Antonio.
«La bambina – spiega il sacerdote - indossava una tutina, un giubbottino smanicato e un cappellino. Ho immediatamente allertato il 118 e la Neonatologia del Policlinico di Bari». Arrivata l’autoambulanza, la bambina – per la quale don Antonio ha proposto il nome Maria Grazia – con l’équipe medica e il parroco è stata portata al reparto di Neonatologia del Policlinico dove ha ricevuto tutte le attenzioni del caso. Maria Grazia, 3 chili e 400 grammi, «gode di buone condizioni di salute», rassicura il sacerdote. «Sono entrato anch’io nell’autoambulanza perché in quel momento sono responsabile del neonato che viene accolto», spiega.

Il parroco davanti alla culla per la vita della parrocchia con il manifesto che pubblicizza lo spazio protetto

Il parroco davanti alla culla per la vita della parrocchia con il manifesto che pubblicizza lo spazio protetto - Ansa

Sì, accolto. Perché a don Antonio non piacciono i termini “ritrovato” e “lasciato”. «La bambina è stata affidata alla parrocchia» che accogliendola ne diventa responsabile. E qui il pensiero corre alla memoria della nascita di Gesù. «Come il Signore si è lasciato accogliere dall’umanità – dice don Antonio –, così noi siamo chiamati ad accogliere». Ora la bambina è affidata alle cure dei medici, poi «il Tribunale per i minorenni nominerà un tutore che la accompagnerà per un anno prima che venga affidata a una famiglia», spiega il sacerdote, che ricorda così come un anno sia il tempo concesso dalla legge alla madre della piccola per tornare sui suoi passi e chiedere di poter essere lei a crescere sua figlia.
Non è la prima volta che la culla termica della parrocchia barese, pubblicizzzata all’esterno da un cartello esplicativo, accoglie un neonato. È successo nel luglio del 2020, quella volta si trattava di un maschietto. La “culla per la vita” è stata aperta il 23 giugno 2015 in un locale parrocchiale appositamente allestito e facilmente accessibile, che permette di lasciare il neonato in pieno anonimato. Il costo di realizzazione e il mantenimento della culla sono affidati interamente alla generosità dei parrocchiani. «All’epoca non ne esisteva nemmeno una in tutta la Puglia», ricorda don Antonio, il quale evidenzia come l’idea di realizzarla sia anche collegata al santo a cui la parrocchia è dedicata perché la gravidanza di Elisabetta è arrivata inaspettata. «Se un giorno avrò la possibilità di incontrare la mamma di questa bambina, la abbraccerò e le dirò grazie», afferma don Franco Lanzolla, che per 32 anni ha guidato la Pastorale familiare diocesana e che col Centro “La casa di Osea” si pone in ascolto degli sposi che vivono una sofferenza relazionale. «Non sono scandalizzato, sono contentissimo – rincara –. Le direi grazie perché ha custodito la bambina per nove mesi, assumendosi la responsabilità di portare a termine la gravidanza» in una città in cui «l’emergenza vera è quella dell’aborto, che a Bari è un fenomeno accentuato», senza che «le vite interrotte provochino scandalo». Dal suo osservatorio Lanzolla denuncia che «molte donne fuggono dalla maternità a causa della assenza del padre» del nascituro, che più facilmente evita le responsabilità legate al diventare genitore. «La relazione va coniugata sempre nell’amore, mentre accade che spesso oggi la sessualità sia ludica e scissa dall’amore e dalla progettualità nell’amore», riflette Lanzolla attingendo alla sua lunga esperienza sul campo. «Più l’amore unisce – prosegue – più è generativo e si apre all’altro». Infine, l’ex responsabile diocesano per la Pastorale familiare tiene anche a dire che chi ha deposto la bambina «poteva affidarla a un ospedale, invece le è stata ridata la vita affidandola alla comunità ecclesiale per darle la fede e un progetto di vita». Anche per questo, consegnare la bambina alla culla per la vita «è stato un grande gesto».
Era il 24 giugno 2015 quando “Avvenire” diede notizia del varo della culla per la vita nella parrocchia di San Giovanni Basattista. A volerla lo stesso don Antonio Ruccia, orgoglioso del fatto che l’iniziativa fosse il frutto della generosità dei parrocchiani. «Oggi – dichiarò il sacerdote – si abortisce con troppa facilità; noi offriamo un’ultima possibilità, il salvataggio della vita». Una profezia che si è già compiuta due volte, confermando un’intuizione nata dal cuore stesso della comunità barese.
Anche dall’ospedale di Bari arriva una voce di sollievo: è quella del direttore della Neonatologia Nicola Laforgia, per il quale «la culla termica è un’ancora di salvataggio per evitare gesti estremi. Bisogna piuttosto comunicare che si può partorire in ospedale in totale anonimato per avere sicurezza per gestante e neonato. Il tutore lo stabilisce il Tribunale dei minori, e in genere è provvisoriamente il responsabile del reparto», cioè lui stesso. «Il sensore – aggiunge – è collegato al telefono del parroco don Antonio, e lui mi avverte immediatamente sul mio cellulare in qualunque momento accada». Con il pensiero al dramma della madre che ha dovuto separarsi dalla sua piccola, il parroco ricorda che «quando i carabinieri mi hanno chiesto come volessi chiamarla, ho risposto Maria Grazia: come la Madonna, che spero accompagni questa piccina per tutta la vita».

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