«Suicidio assistito, a garantire la sanità cattolica c’è il Concordato»

Il presidente dell’Associazione che rappresenta l’ospedalità di ispirazione cristiana nel nostro Paese prende posizione nel dibattito sul fine vita. Ricordando un punto fermo ineudibile per il legislatore
December 12, 2025
«Suicidio assistito, a garantire la sanità cattolica c’è il Concordato»
Cosa significa oggi curare le persone in situazioni di sofferenza estrema? Serve una nuova legge sul fine vita? Che princìpi deve rispettare? E qual è il confine tra tutela della vita e della libertà? Con la serie di articoli "Scegliere sulla vita" ascoltiamo voci e sensibilità differenti, in dialogo tra loro. Interviene padre Virginio Bebber, presidente dell'Aris.
«Non puoi tornare indietro e cambiare l’inizio, ma puoi iniziare dove sei e cambiare il finale». Mi è venuta in mente questa frase di Clive Staples Lewis – scrittore, saggista, teologo e apologeta cristiano britannico, scomparso nel 1963 – mentre ripercorrevo le mie preoccupazioni per quello che dovranno affrontare le strutture socio-sanitarie della Chiesa – molte riunite nell’Aris, Associazione che presiedo – allorché andrà in porto disegno di legge sulla «morte medicalmente assistita». Perché sicuramente andrà in porto. La Corte Costituzionale, continua quasi a supplicare il Parlamento affinché dia finalmente un seguito alla sentenza n. 242 del 2019, con la quale, tra l’altro, sollecitava proprio l’emanazione di una legge che regolasse definitivamente tutte le implicanze della pratica del suicidio assistito. E regioni come la Toscana e la Sardegna hanno già lanciato lo sprint finale.
C’è bisogno di un approccio di grande rispetto quando si parla del fine vita delle persone, perché parliamo di una realtà di grande sofferenza. Al tempo stesso, non è immaginabile che un sistema che nasce per dare cura e per dare sollievo alle persone possa offrire percorsi di morte. Riteniamo che non sia nelle corde del Servizio sanitario nazionale. Nel rispetto di ognuno, certo, va anche riconosciuto che nell’ordinamento italiano non esiste il diritto alla morte. «Noi immaginiamo la giustizia come una bilancia – dichiarò monsignor Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio Cei per la Pastorale della Salute , commentando l’intervento dei vescovi toscani in risposta alla legge regionale in questione –: dove c’è un diritto, dall’altra parte c’è un dovere. Se c’è un diritto alla morte, qualcuno ha un dovere di procurarmi la morte. Questo non è accettabile».
II 2 luglio le Commissioni Sanità e Giustizia del Senato hanno, come è noto, approvato un testo base di disegno di legge sulla «morte medicalmente assistita» disciplinando la non punibilità dell’aiuto al suicidio in ambito penale e, ad onor del vero, con una particolare sottolineatura sullo sviluppo delle cure palliative, anche in ottica di protezione del diritto alla vita. Il testo avrebbe dovuto essere un mix tra le tante norme sino a oggi proposte e sulla scia di quelle che, in qualche modo sono, già in vigore.
A questo punto non guasta una seppur veloce, riflessione sulla sfida etica e antropologica che ci viene dalla nuova cultura della morte, cultura che sta sempre più prendendo piede in Europa, e che ormai bussa prepotentemente alle porte di casa nostra. Se non fosse stato per la pandemia, già saremmo costretti a confrontarci con l’eutanasia. Contraddizione di questa nostra società: si lotta per strappare alla morte le persone più fragili mentre si cova la volontà di favorire la morte di altri esseri umani, forse ancor più fragili.
I temi del nascere e del morire, le modalità con cui oggi si può o si pretende di intervenire tecnicamente in questi che sono i frangenti più intimi e delicati della vita dell’uomo, hanno una straordinaria importanza sia di per sé sia come fattori di forte impatto antropologico. Si va diffondendo – o si subisce passivamente – la convinzione che tutto ciò che è tecnicamente possibile sia, per ciò stesso, legittimo, e non ci rendiamo conto che in questo modo ci avviamo verso una paurosa alienazione. È come se trasferissimo il cuore della nostra consapevolezza morale dall’interiorità della nostra coscienza al delirio di un’ormai acquisita onnipotenza dell’uomo dell’era tecnocratica, uomo che si arroga il diritto di decidere come e quando nascere, come e quando morire.
Resta il fatto che a nessuno sembra venuto davvero in mente quale problema enorme si presenta alla sanità cattolica di fronte a una legge che potrebbe esigere di fornire il servizio di morte assistita. Sono migliaia le strutture socio-sanitarie che operano nell’ambito della Chiesa cattolica, che, attraverso la Santa Sede, con lo Stato italiano ha sottoscritto un patto, il Concordato, per stabilire la convivenza nel rispetto delle reciproche identità. Un Concordato che, stipulato come parte dei Patti Lateranensi del 1929, è stato revisionato e confermato il 18 febbraio del 1984. In quel Concordato fu riconosciuta la loro differenziazione, proprio in base all’identità cristiana. Al punto che nell’articolo 7, comma 4, nonostante sia stabilito che tutte le istituzioni sanitarie gestite da enti ecclesiastici – pubbliche o private che siano – nell’espletamento delle loro attività devono seguire le leggi dello Stato, si legge anche «nel rispetto della struttura e delle finalità di tali enti».
Il mandato evangelico “andate e curate gli infermi...” per le nostre strutture è, e resterà sempre, un vincolo prioritario che non possiamo disattendere. Verremmo meno alle ragioni del nostro impegno in sanità; finiremmo per snaturare i carismi dei nostri fondatori e fondatrici; tradiremmo il comando di nostro Signore.
Piuttosto, ci impegniamo a rafforzare la nostra catena di hospice, nei quali accogliere e accompagnare quanti si accingono a raggiungere il traguardo della loro avventura terrena, circondati dall’amore di chi non li abbandona, anzi li cura, lenisce le sue sofferenze in “con-passione”.
Padre Virginio Bebber è presidente dell’Aris
Associazione religiosa Istituti Socio-sanitari

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