L’insegnamento della religione a scuola? Cultura e dialogo

Ricomprendere e rilanciare sono i due verbi che racchiudono gli obiettivi della nota pastorale della Cei «L’insegnamento della religione cattolica: laboratorio di cultura e dialogo»
December 13, 2025
L’insegnamento della religione a scuola? Cultura e dialogo
L'Insegnamento della Religione Cattolica (Irc) in una scuola media/ SICILIANI
Ricomprendere e rilanciare. Sono i due verbi che racchiudono gli obiettivi della nota pastorale «L’insegnamento della religione cattolica: laboratorio di cultura e dialogo», pubblicata dai vescovi italiani alla vigilia del quarantesimo anniversario dell’Intesa fra il Governo e la Cei che, nel 1985, ridisegnò la presenza della religione nella scuola. Ricomprendere perché la scuola del 2025 è molto diversa da quella di allora e anche l’insegnamento della religione (Irc) ne ha fatta di strada. Oggi – per usare le parole del documento – si propone a tutti come «un progetto educativo che propone l’esigenza di una visione globale e integrale dell’educazione, in un’alleanza fra la scuola, la Chiesa e la società». Non a caso il titolo della nota pone l’accento sulla cultura e sul dialogo. La prima, la cultura, è il “genere letterario” dell’Irc: non solo conoscenze ma uno sguardo sulla vita e sulla persona. Storia e valori, teologia ed esperienza, Bibbia e società. Il secondo, il dialogo, è metodo e contenuto per le lezioni.
Se l’occasione è data da una ricorrenza, la nota della Cei parla in realtà del mondo in cui viviamo. Emergenza educativa, pluralismo culturale e religioso, domanda di senso “gridata” dai ragazzi nei confronti della scuola: è in questo contesto che l’insegnamento della religione è considerato ancora valido e attuale. Si potrebbe perfino dire che appartiene al presente e al futuro, più che al passato. «Proprio per l’ampia visione legata al mistero dell’uomo e al suo dialogo con l’Assoluto – attestano i vescovi – può interagire positivamente con questo contesto esistenziale e culturale, stimolando il confronto con il vissuto personale, con le gioie e le speranze dell’esistenza, le paure e gli ostacoli, per costruire ponti anziché muri, per sviluppare le potenzialità e affrontare le fragilità». Per questo, i vescovi invitano a rilanciare. Verbo da scommettitori, rilanciare. E in effetti l’educazione è una scommessa, contiene ampi margini di rischio. Non è per i timorosi e i sedentari. Rilanciare con coraggio l’Irc, certo, ma prima ancora rilanciare la professione educativa, investire nell’insegnamento come opera d’arte di una vita. Lo ha chiesto anche il cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, mettendo nero su bianco nel documento di sintesi l’auspicio che le comunità dedichino energie nel suscitare vocazioni educative in tutti i campi, compreso l’insegnamento della religione cattolica nella scuola, e organizzino regolarmente occasioni di confronto e di ascolto degli insegnanti, per meglio comprendere bisogni e linguaggi dei giovani. Nello scorrere le pagine della nota, la fiducia procede di pari passo con il realismo. Il testo non nasconde le criticità presenti, ricorda le difficoltà, i pregiudizi, le scelte che penalizzano l’Irc. Arriva a dire che il sistema può essere migliorato. Non è una visione idilliaca quella presentata, ma l’eco dell’esperienza che fanno ogni settimana più di sei milioni di bambini, ragazzi e adolescenti. Italiani e stranieri. Credenti e non credenti.
A chi, dopo la lettura del testo, si chiedesse se ci può essere ancora posto oggi per la religione cattolica nella scuola si potrebbe rispondere con le parole di Leone XIV di tre giorni fa: «L’identità europea può essere compresa e promossa solo facendo riferimento alle sue radici giudeo-cristiane». Non solo. Sempre il Papa, aprendo il Giubileo del mondo educativo, a fine ottobre, spiegava che «chi studia si eleva, allarga i propri orizzonti e le proprie prospettive, per recuperare uno sguardo che non si fissa solo in basso, ma è capace di guardare in alto: verso Dio, verso gli altri, verso il mistero della vita. Questa è la grazia dello studente, del ricercatore, dello studioso: ricevere uno sguardo ampio, che sa andare lontano, che non semplifica le questioni, che non teme le domande, che vince la pigrizia intellettuale e, così, sconfigge anche l’atrofia spirituale». Ecco la scommessa dell’Irc oggi, insieme a tutta la scuola. Ci pensavo mercoledì sera, seguendo in televisione il racconto di Roberto Benigni sull’apostolo Pietro, quasi «un’ora di religione» in prima serata. «Questa è la vera natura del cristianesimo – confessava l’attore – non una religione di regole, ma una rivoluzione d’amore! Dopo Gesù, nulla è stato più come prima». Se è così, un’ora alla settimana è perfino troppo poco.

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