I 5 punti che spiegano perché il negoziato sull'Ucraina è fermo
Dal Donbass al ruolo futuro dell'Ue (visto da Kiev e da Bruxelles) dagli asset russi al destino di Zelensky, la grande trattativa per arrivare a una tregua si è arenata su alcune questioni-chiave. Proviamo a entrare nel merito e a capire qual è la posta in gioco

Grande è la confusione sotto i cieli dell’Ucraina. E molteplici le domande, le incognite, le aspettative. Proviamo a esaminarle una per una.
Il nodo del Donbass
In un’intervista a "Kommersant", il consigliere presidenziale russo Yuri Ushakov ha affermato che in Ucraina ci potrà essere un cessate il fuoco «solo dopo il ritiro delle truppe ucraine dal Donbass». In molti caldeggiano una soluzione di tipo coreano: una no man’s land fra i due contendenti, una zona-cuscinetto demilitarizzata, alle spalle della quale ci sarebbe una seconda zona di rispetto dove sono bandite le armi pesanti. Trump la immagina come una free economic zone, ma Zelensky, che invoca un referendum, teme che possa essere solo l’avamposto dell’ulteriore avanzata russa sul territorio ucraino. Cosa resterà dunque dell’Ucraina dopo il probabile scorporo delle ricche province di Donetsk, Lugansk, Kherson, Zhaporizhzhia, della costiera di Melitopol e Mariupol che collega il Mare di Azov alla Crimea, consegnate manu militari a Vladimir Putin a conclusione di una guerra che poteva forse essere evitata e che comunque poteva condurre a pace meno disarmante e gravosa già nel 2022? La domanda rimbalza da Kiev alle capitali europee, dalle scrivanie dei “Volonterosi” a quel gatto di marmo che è diventato Vladimir Putin, in silenziosa attesa che i suoi avversari sbaglino qualche mossa.
Il destino di Zelensky
Politicamente parlando, Volodymyr Zelesnky è un morto che cammina. Lo stato d’eccezione in cui ha criogenizzato il Paese mettendo la mordacchia alla stampa ed eliminando la possibilità di nuove elezioni gli ha consentito finora di evitare il giudizio degli elettori che – stando ai sondaggi – vede in rapida crescita la figura dell’ex capo delle forze armate Valerii Zaluzhny, con picchi di gradimento intorno al 70%. Secondo un sondaggio pubblicato nei giorni scorsi dal "Kyiv Independent", se oggi venissero indette elezioni presidenziali, al primo turno solo il 20,3% – ovvero un ucraino su cinque – voterebbe per Zelensky. Pesa sul giudizio popolare quel Kiev-gate costato il posto a due ministri e al braccio destro di Zelensky, Andriy Yermak. Sotto traccia, Washington e Mosca tramano per estromettere Zelensky dal gioco, in attesa di sostituirlo con una figura (il risorto Zaluzhny? Il capo dell’intelligence militare Budanov?) che non si opponga alla spartizione del ricco bottino in terre rare che attende i vincitori: non per nulla finora le trattative sono state affidate non ai politici ma a uomini d’affari e marketing come l’americano Steve Witkoff e il responsabile del fondo sovrano russo Rdif, Kirill Dmitriev.
L’Ucraina nella Ue
Secondo la bozza del piano di pace a cui hanno lavorato i funzionari statunitensi e quelli di Kiev insieme ai rappresentanti europei, l'Ucraina potrebbe aderire all'Unione Europea entro il 2027. Lo rivela il "Financial Times", sollevando gli ovvi dubbi di opportunità, dal momento che un ingresso repentino di Kiev nell’Ue stravolgerebbe le regole basate sul merito che garantiscono da sempre la corretta procedura per entrare a far parte della famiglia europea. Ne sa qualcosa la Turchia, candidata fin dai lontani tempi di Bulet Ecevit ed eternamente lasciata nella sala d’aspetto in quanto carente e deficitaria su capitoli chiave dello spirito europeo, quali la libertà di stampa e i diritti umani. «Se includiamo l’Ucraina come parte di un accordo di pace – obiettano i partner europei favorevoli al piano – ciò renderebbe l’adesione alla Ue un fatto compiuto per Kiev». Ma una nazione ad elevato tasso di corruzione come l’Ucraina (è ancora caldo lo scandalo delle creste milionarie sugli armamenti perpetrate da oligarchi e fedelissimi del cerchio magico di Zelensky), percorsa da fremiti e manipoli di nostalgici dell’epopea di Stepan Bandera, padre putativo dell’organizzazione paramilitare di estrema destra Pravj Sektor e del Battaglione Azov, ha davvero titolo per fare il suo ingresso nell’Unione Europea?
Gli asset di Mosca
Sono 185 miliardi, congelati in Belgio, pari al 70% del tesoretto russo bloccato all’estero. La Commissione Europea vorrebbe cominciare a utilizzare questi fondi a favore dell’Ucraina ma il Belgio, che teme la rappresaglia legale di Mosca (peraltro già annunciata giusto ieri), si oppone. A premere sulla decisione è il cancelliere tedesco Merz, che sulla questione si gioca il proprio già esile prestigio. Se l’opzione dovesse andare in porto, l’Unione Europea utilizzerebbe gli asset russi congelati come garanzia ai prestiti per il futuro sostegno all’Ucraina. La maggior parte dei Paesi membri della Ue è d’accordo. Ma ciò implica la continuazione della guerra, perché in caso di accordo di pace i Paesi che hanno utilizzato i fondi russi sarebbero chiamati a restituirli. Il Belgio attraverso Euroclear detiene 185 miliardi di questi fondi. Se dovesse darli indietro, rischierebbe il default. Per questo il governo di Bruxelles si oppone e minaccia azioni legali. Manca solo una settimana al vertice Ue, che dovrà decidere in merito. Oppure rinviare.
Un’Europa tutta sola
Su un punto Donald Trump e Vladimir Putin concordano ormai da mesi, ancor prima del surreale vertice di Anchorage: l’Europa, la Ue, il Vecchio continente sono realtà stantie, superate, inutili, guidate da leader di mezza tacca e incapaci di prendere posizione e rendersi credibili agli occhi del mondo. La demonizzazione della Ue da parte di The Donald è del tutto simile alla character assassination che abitualmente riserva a Zelensky. Tre potenze, due delle quali – Cina e Russia – autentiche autarchie e la terza, gli Stati Uniti, in procinto di diventarlo, si disputano il predominio mondiale disegnando nuove geografie e nuove aree di influenza, senza rinunciare alle reciproche rivalità. «Una Yalta senza trattati», come ha detto qualcuno, dove l’Europa – che pure avrebbe storia, competenza e un glorioso passato di democrazia liberale che i “rednecks” e i sovranisti americani si sognano, così come gli oligarchi russi e i mandarini cinesi neppure sanno cosa sia – rimane ai margini. Nell’ora più cupa della sua lunga storia.
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