Dio che nasce e la preghiera dei nostri belati
Nel presepe può stare chiunque, perché chiunque può stare davanti al Dio che ride come fa ogni bimbo. Chi “cambia” questa scena è come se si difendesse dal Nascente. E finisce con l’oltraggiarlo

Un presepe senza la Sacra Famiglia? Impossibile. Ma il parroco di Santa Susanna a Dedham, diocesi di Boston, ha ritenuto che quel che sta accadendo con le retate di migranti senza documenti da parte degli agenti federali dell’Immigrazione potesse giustificare l’alterazione della Natività per far passare un messaggio forte e chiaro. E così per denunciare quello che molti ritengono un abuso ha realizzato un presepe dove Gesù, Maria e Giuseppe sono assenti perché evidentemente arrestati e deportati. È solo un nuovo episodio che conferma come – dalle statuine di celebrità proposte a San Gregorio Armeno alle sacre rappresentazioni più “creative” – il presepe sembra accendere la voglia di “rileggere” ciò che comunica, forse per la perenne attualità della sua scena, la potenza del messaggio che promana dalla ricostruzione di Betlemme, o l’idea stessa dell’incarnazione di Dio che parla a ogni oggi della storia. Ma tutti avvertiamo che c’è una soglia da non oltrepassare. Dove corra il confine fra una tradizione da rispettare e una riflessione che ci coinvolga più personalmente è tema che però interroga ciascuno di noi. Avvenire ha ospitato nell’edizione di sabato 13 dicembre tre interventi d’autore per aiutarci a riflettere: suor Gloria Riva, il teologo Marco Vergottini, e il poeta Davide Rondoni. Ecco il suo articolo.
Il presepe è un grande belato. Un grande belato nel mondo che invece urla, grida, impreca e anche quando cerca Dio lo cerca spesso come un idolo in cielo o in terra con inni suppliche e parole magniloquenti. Invece il presepe è un dolce sterminato belato di stupore e di accoglienza. E di commozione. Come quella che strinse la gola di san Francesco, inventore della scena del presepe, a Greccio in quella notte. Tale fu la commozione del santo e poeta nel contemplare il mistero della incarnazione che non gli riusciva, dicono le fonti, di pronunciare la parola Betlemme e si incantava in un belato: beee... beee...
Il presepe è una preghiera all’Altissimo e Onnipotente che abbassa gli occhi dal cielo misterioso e si fa Belato commosso dinanzi a un Dio che ride come un bimbo, come lo chiamava Ungaretti. Al Dio Altissimo e Onnipotente, un Dio che potrebbe sembrare distante e terribile. E invece è «Altissimo, Onnipotente, Buono». Il presepe è inventato da un uomo che bela, commosso perché l’Altissimo si è fatto piccolino come lui, che si sentiva quasi nulla. Il minore, il parvolus. E il presepe infatti è la festa dei piccoli, di quelli che non si montano la testa, di quelli che non si credono superiori. Perciò nel presepe di noi piccoli ci può stare chiunque, dal pastorello a Messi, da Trump alla lavandaia, dalla Meloni al panettiere, dal migrante al Re Mago e sapiente. Ci può stare chiunque se c’è Lui, il Nascente. Lui ci dev’essere di sicuro. Tutti gli altri, noi, possiamo andare alla capanna e possiamo anche non andare, Il Natale senza di Lui non ha senso, Noi possiamo dare senso al Natale se andiamo al presepe. E non c’è una dogana, un buttafuori, non c’è un numero chiuso.
Queste cose sono necessarie altrove. Non nel presepe. Qui ci può stare chiunque proprio perché dinanzi al Dio che ride come un bimbo, nessuno è “chiunque”, ma ognuno può essere, per un attimo almeno, se stesso, e ascoltare e far uscire il belato del proprio cuore. Il proprio singolare, personalissimo belato. Quello che il Pastore riconosce. Lui solo riconosce fino in fondo. So bene che si può fare del presepe terreno di sociologia, di banale lotta politica, di stupida contesa. Lo si può fare della terra dove si vive, lo si può fare dei soldi da dividere tra fratelli, della casa dove si è vissuti coi genitori. Sappiamo fare di tutto terreno di contesa, anche dei baci. Siamo fatti così, tendiamo alla divisione, forse o anzi sicuramente, perché sedotto anche da quella forza divisiva (diavolo, dal greco “dividere”) che ci promette maggiore convenienza in certi atteggiamenti, scelte, strategie. E dunque persino del presepe si può fare, e lo fanno, territorio di contesa, di oltraggio. Quel Dio che ride come un bimbo, anche crescendo, anche morendo, non si è mai difeso dagli oltraggi. Gliene hanno dette di tutti i colori. Ubriacone, frequentatore di prostitute, perditempo. Fanfarone. Bestemmiatore.
Gli hanno sputato, lo hanno deriso. E frustato, e ucciso. Non si è mai difeso dagli oltraggi. Ci ha difeso lui dall’oltraggio di morire. Dall’oltraggio supremo della morte. È rimasto bambino ed è rimasto Dio. «Non vedi che è un bimbo, non vedi che è Dio...» dice un poeta dinanzi al piccolo che cammina per la strada, al bimbo oltraggiato anche dalle inutili, vacue diatribe sul presepe, e dallo stupido uso che se ne fa per lanciare messaggi politici e sociali. Come se quello non fosse già il messaggio politico e sociale più rivoluzionario, come se quel bimbo che è Dio avesse bisogno che tu ci aggiungi i tuoi pensierini intelligenti, o “impegnati” o politicuzzi. Come se il presepe non fosse già la manifestazione più forte, quella che strappa da millenni il belato a cuori in tutto il mondo. Il presepe non ha bisogno di aggiunte o sottrazioni. Il Nascente è l’evento più potente del mondo, cosa pensi mai di aggiungere? O forse aggiungendo qualcosa, uno slogan, una strategia di comunicazione ecco, forse vuoi oscurarlo, vuoi difenderti da quel belato che ti sale dall’anima, violento come un pianto, dolcissimo come una ninna nanna? Forse le aggiunte o le sottrazioni che in mille modi si compiono sul corpo nudo del presepe, gli oltraggi, sì, oltraggi li chiamo, sono un modo per evitare di stare lì di fronte a belare, come ha fatto san Francesco, come fanno i bambini, come faceva la mia nonna, come per un istante possiamo fare tutti, dimenticandoci le false grandezze, le false potenze...
Chi “cambia” il presepe si difende dal Nascente. Lo oltraggia. Pensa di essere più intelligente di Dio. Cioè fa la figura dello stupido. Chi invece si mette lì, senza creder d’esser meglio di nessuno, senza incaricare tristi doganieri della morale o dello spirito a decidere secondo la sua piccola testa chi ci può essere o no, insomma chi si mette lì ricco del suo solo sperduto belato si accorgerà che ad esso si intona, si unisce, il dolce pianto e riso del Dio nascente. La vita cerca la vita, dice il poeta Luzi. Nel presepe dei piccoli, degli umili la vita trova la Vita.
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