Le “giovani madri” dei fratelli Dardenne: attraverso un figlio il riscatto di una vita
Il film premiato a Cannes racconta le storie di cinque ragazze madri in una casa-famiglia che lottano per costruirsi un futuro

Ariane vuole uscire dalla miseria e l’unica strada le appare quella di affidare la sua Lili a una famiglia ricca «che le insegnerà la musica» e le spiega perché l’ha fatto, con la sua scrittura adolescenziale, in una lettera che la figlia neonata aprirà quando avrà 18 anni, tre in più di quanti ne ha lei ora. Ha 15 anni anche Jessica, che pochi giorni dopo il parto porta la minuscola Alba con sé nella ricerca ostinata della madre che l’ha abbandonata alla nascita e che continua a negarsi. Perla aveva deciso di abortire, ma poi ha cambiato idea perché voleva costruire la famiglia che non ha mai avuto, e però si trova a inseguire, incredula, il padre del piccolo Noe, sparito dall’orizzonte.
Sono cinque le adolescenti - Naima, Jessica, Perla, Ariane e Julie - che i fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne seguono nella loro difficile lotta per restare a galla, con e per le creature che hanno appena messo al mondo. Siamo a Liegi, in Belgio, e le adolescenti sono ospitate in una casa famiglia per ragazze madri, accudite da operatrici affettuose e premurose, sinceramente dedite a tracciare per le piccole donne una strada buona verso la costruzione di un futuro. “Giovani Madri”, premiato a Cannes 2025 per la miglior sceneggiatura e nella sale italiane dal 20 novembre scorso, è un film commovente, dove le vicende di ogni ragazza sono seguite da uno sguardo ravvicinato – frequentissimi e intensi i primi piani -, che riflette i sentimenti contraddittori che la investono: paura, solitudine, impotenza. Ma sopra tutto nella pellicola dei fratelli registi e sceneggiatori belgi c’è la forza irresistibile e invincibile dell’amore e della vita che rinasce in tutte le sue infinite possibilità attraverso una nuova creatura.
A costo di correre il rischio di fare spoiler (ma solo un po’...) raccontiamo la storia di Julie: la sua vita è stata segnata prima dalle violenze del patrigno e poi dalla droga, demone che talvolta la fa cadere ancora, ma quando arriva, inaspettata, Mia, ecco che cosa confida al suo ragazzo Dylan, anche lui ex tossico: «Ho sentito che lei era vera e per questo ti voglio sposare, per lasciare la vecchia vita e perché tra noi due sia vero, veramente vero». Le “giovani madri” dei fratelli Dardenne scontano la crudeltà di una società che non perdona la miseria, le dipendenze, la violenza, una famiglia d’origine disfunzionale, incapace di prendersi cura delle loro figlie. Eppure grazie alla forza di una precoce maternità, indesiderata eppure accolta, le cinque adolescenti, ciascuna a modo suo, riescono ad affermare il loro bisogno, che a ben vedere è universale: quello di dare valore alla propria vita e, più ancora, di non essere lasciate da sole ad affrontare il mondo, di trovare intorno a sé un po’ di amore.
Così la 15enne Jessica dopo aver partorito Alba rintraccia la madre sconosciuta per chiederle il perché del disincanto che lei stessa avverte per la neonata: «Perché mi hai affidato a un’altra famiglia? Quando mi tenevi in braccio sentivi che non ero niente?”» Vuole capire, Jessica, dove sta l’amore materno, in quale parte di sé si nasconde. E la risposta viene in un abbraccio che scioglie i cuori e dà una nuova speranza al futuro. Lo sguardo dei fratelli Dardenne, che già aveva descritto una casa famiglia in “Il ragazzo con la bicicletta” del 2011, non è giudicante né moralistico, anzi si avverte commozione e partecipazione alla durezza della vita quotidiana delle ragazze madri, descritta con grande realismo. E anche ammirazione per queste piccole donne, poco più che bambine, che cercano un posto nel mondo per sé e per i propri figli. Attraverso quei piccoli - ci dicono i registi-sceneggiatori - passa anche la possibilità di riscatto per le esistenze ferite delle loro mamme-bambine.
I Dardenne hanno frequentato a lungo una casa famiglia; inizialmente pensavano di raccontare la storia di una sola “giovane madre”, ma poi - hanno detto in varie interviste - «siamo rimasti stupiti e affascinati dal senso di vita che permeava da quelle mura. È stata la fragilità della vita che abbiamo visto lì a motivarci ad allargare il progetto a cinque personaggi». La domanda che aleggia è: perché delle adolescenti scelgono di tenere un figlio non desiderato nonostante non abbiano nulla? La risposta sta tutta nella forza della vita.
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