I vescovi della Campania: no al suicidio assistito, siamo il popolo della vita
La dignità della persona, la sacralità della vita, il dovere di prendersi cura di chi soffre, le cure palliative, la formazione: i pastori delle diocesi campane prendono posizione sul fine vita con una «nota pastorale». Che rilancia «con forza» la posizione della Chiesa

«Il “no” della Chiesa all’eutanasia e al suicidio assistito» ribadito «con forza»; «un “sì” pieno e convinto alla cura, evitando ogni accanimento terapeutico o intervento sproporzionato»; la richiesta «alle istituzioni pubbliche di difendere e promuovere la vita in ogni fase e condizione»; e prima ancora di tutto questo un appello rivolto a tutti i cattolici perché siano «testimoni del Vangelo della vita»: «Costruiamo insieme una cultura della cura e seminiamo la speranza». Quella che diffondono ora i vescovi della Campania è la prima nota pastorale di una conferenza episcopale regionale sul fine vita da quando è iniziato il confronto nell’opinione pubblica e nelle istituzioni nazionali e regionali attorno a una possibile nuova legge sul suicidio assistito.
Scegliendo con attenzione il momento in cui far sentire la loro parola – al termine del Giubileo della Speranza, alla vigilia del Natale festa della Vita e lontano da momenti in cui la cronaca fa salire la temperatura del dibattito – i pastori delle Chiese campane mettono a disposizione un documento articolato su dieci punti, denso di riferimenti etici e magisteriali, pienamente consapevole della situazione e dei nodi da sciogliere, di formidabile complessità morale e giuridica. E mostrano il metodo con il quale i credenti possono affrontare ogni confronto su questa materia che coinvolge le esperienze umanissima della malattia, della sofferenza e della morte: informandosi, conoscendo lo sguardo della Chiesa e il suo giudizio, pronti al dialogo e all’accoglienza ma allo stesso tempo fermi nelle loro convinzioni su valori che sono patrimonio di tutti, sentendosi con i loro vescovi «interpellati dal dibattito politico e da tante situazioni di dolore».
La novità di questa nota sul fine vita («Custodire ogni vita, accompagnare ogni sofferenza») è proprio nel suo essere «pastorale», dunque rivolta anzitutto «a voi, fedeli delle nostre Chiese», e quindi «a tutte le donne e gli uomini di buona volontà della Campania. Ci sta a cuore, infatti, la causa della vita – spiegano in premessa i vescovi –, come ci stanno a cuore anche i malati terminali, alcuni dei quali, in situazioni particolari, arrivano a chiedere di essere assistiti nella scelta estrema di porre fine alla loro vita». Non è un mistero – in Campania e non solo – che tra i cattolici il tema delle scelte del tratto finale della vita suscitino risposte non sempre in linea con l’insegnamento della Chiesa, sotto la pressione dell’«emergere di derive sempre più drammatiche, quali l’eutanasia, il suicidio assistito e l’abbandono terapeutico».
Davanti a questa situazione si è così voluto intervenire con «uno strumento di accompagnamento pastorale e culturale per le nostre comunità cristiane, perché siano sempre più testimoni credibili del Vangelo della vita. In un tempo in cui si fa strada una cultura della morte, alla luce del Vangelo e del Magistero della Chiesa, desideriamo rinnovare il nostro “sì“ alla vita, alla cura, all’accompagnamento amorevole di chi soffre». Cardine di tutto il testo – assai completo e utile, nella sua sintesi – è la dignità oggettiva e permanente della persona: «Ogni essere umano – si legge nella nota – possiede una dignità intrinseca, inalienabile, incommensurabile, che non dipende da qualità accidentali o da capacità funzionali, ma dalla sua natura di creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26).
Questa dignità, radicata nella creazione e redenta in Cristo, non viene mai meno, nemmeno nella malattia, nella sofferenza, nella disabilità o nella fase terminale della vita». Accanto a questa, c’è un’altra radicata convinzione: «La vita non è un diritto assoluto e soggettivo, ma un dono ricevuto, da accogliere con gratitudine e custodire con responsabilità. Essa è un bene primario, fondamento di ogni altro diritto, e pertanto non può essere soppressa, nemmeno per ragioni di compassione». Sempre meno scontato un giudizio coerente con i valori evangelici per via di un «contesto culturale odierno, dominato da un paradigma tecnocratico e individualista». Proprio per questo «è urgente riscoprire la dimensione sacrale della vita, che interpella la coscienza personale e collettiva». La consapevolezza di questa sacralità – che può essere letta anche laicamente come intangibilità di un valore assoluto e universale – non è certo un’idea fine a sé stessa: «Il dono della vita implica anche il dovere di promuoverla, sostenerla e difenderla, specialmente là dove essa è più minacciata».
La proposta cristiana, al centro della nota pastorale dei vescovi campani, arriva dentro questo contesto come una parola di speranza “che non delude” offerta a tutti: «L’esperienza del dolore e della morte interroga profondamente l’uomo e la sua fede. La risposta cristiana non si esprime in una fuga dalla realtà, ma nella condivisione e nella speranza. Cristo, con la sua Passione e Risurrezione, ha redento anche il dolore, trasformandolo in via di salvezza». La fede dice anche oggi alla ragione e alla cultura che «la sofferenza non è mai inutile: vissuta nella fede, può diventare luogo di purificazione, di comunione con il Crocifisso Risorto e di testimonianza».
Questa verità annunciata dalla Chiesa ha una conseguenza necessaria: «Nel ribadire con forza il “no” della Chiesa all’eutanasia e al suicidio assistito – scrivono i vescovi nella parta pèiù “politica” del messaggio –, vogliamo farci eco della parola chiara del Magistero: nessuna legge può legittimare atti che sopprimono intenzionalmente una vita umana innocente. Tali pratiche, anche quando motivate da pietà o dal desiderio di evitare il dolore, rappresentano una grave violazione della dignità umana e un fallimento della società nel suo compito di accompagnare, sostenere, amare. Esse minano il fondamento della convivenza civile e rischiano di alimentare quella “cultura dello scarto” da cui tante volte ci ha messo in guardia papa Francesco».
Affermare che la vita non si toglie porta con sé l’affermazione speculare che va curata, sempre: «Curare significa prima di tutto “prendersi cura” della persona, non solo della malattia». In particolare, sottolineano i vescovi campani, «le cure palliative rappresentano oggi una risposta etica e scientifica adeguata alla sofferenza, capace di lenire il dolore, accompagnare con dignità e offrire sostegno umano e spirituale. Purtroppo, anche nella nostra Regione, però, esse sono adottate solo in minima parte: di fatto la legge sulle cure palliative non ha visto ancora una piena attuazione». Delle cure palliative le Chiese regionali affermano «sono da considerarsi atto di giustizia e di carità, non rappresentano semplicemente un’opzione clinica, ma un dovere umano e sociale». Si tratta dunque di «una risposta concreta e pienamente conforme all’etica cristiana, perché alleviano il dolore e la sofferenza senza provocare la morte, accompagnano la persona con rispetto e prossimità e mettono al centro il paziente e non solo la malattia». I vescovi perciò chiedono «con forza che le strutture sanitarie, pubbliche e private, siano sempre più dotate di unità di cure palliative e che il personale sia formato secondo una visione integrale della persona. La cura non è solo un dovere professionale, ma una vocazione all’amore».
Tutto questo ha precise conseguenze pastorali. Eccole: ora occorre «promuovere una pastorale della vita che sappia essere prossima, accogliente, concreta. Le nostre comunità diventino sempre più “case della misericordia”, luoghi dove chi soffre possa trovare ascolto, sostegno, preghiera». C’è anche una proposta concreta: «Ogni parrocchia promuova “il ministero della consolazione”, che coinvolga anche medici, psicologi e volontari, per accompagnare gli ammalati e le loro famiglie». Nasce così anche un nuovo impegno formativo: «Le scuole, gli oratori, i gruppi giovanili devono essere luoghi dove si coltiva una “cultura della vita”. Anche nei percorsi di iniziazione cristiana, dei nubendi, come pure nella catechesi permanente, la Comunità cristiana, mentre annuncia la bellezza della vita nuova in Cristo, è chiamata a formare ogni persona al servizio alla vita come risposta concreta a una precisa istanza evangelica».
Va formata anche l’intelligenza: «Tutta la comunità credente potrebbe trovare occasioni significative di sensibilizzazione, formazione e crescita». «Cammini di formazione» vanno offerti anche «ai medici, agli infermieri, agli operatori sociosanitari e a quanti sono impegnati nel sociale» per «aiutarli a discernere e a scegliere, rigettando ogni forma di “falsa compassione”, affinché riscoprano la grandezza della loro vocazione che è curare, accompagnare, mai abbandonare». Importante qui la sottolineatura dei vescovi sulla «clausola dell’obiezione di coscienza» che «deve essere salvaguardata come espressione di libertà e responsabilità etica».
Guai a pensare che le scelte di fine vita, spettando a ciascuno di noi, non interessano tutti: «La vita non è un affare privato». Per questo i vescovi chiedono «con forza alle istituzioni pubbliche di difendere e promuovere la vita in ogni fase e condizione» e «che si tutelino i più deboli, che si garantisca l’accesso universale alle cure, che s’incentivino le cure palliative e ci si opponga con chiarezza all’eutanasia e al suicidio assistito». Sul fine vita i pastori delle Chiese della Campania chiedono «leggi giuste che tengano conto delle reali necessità dei cittadini e siano espressione di un confronto il più ampio possibile, libero da logiche di parte ed eventuali strumentalizzazioni».
Si coglie qui l’eco del confronto locale sul disegno di legge per rendere la morte volontaria un diritto garantito dalla legge, fosse pure solo territoriale: «A riguardo ci preoccupano le recenti iniziative regionali, intraprese in Campania come in altre Regioni, e riteniamo, in linea con le sentenze della Corte Costituzionale, che la sede naturale per legiferare su un tema così delicato debba essere il Parlamento». Per questo «ai politici, in particolare, chiediamo di avviare, su questo tema, una riflessione profonda, sulle basi della dignità della persona. A loro domandiamo uno sguardo non parziale sui diritti della persona in ogni fase della sua vita, e in particolare nei momenti di massima vulnerabilità».
Etica, medicina, cultura, diritto, politica: lo sguardo sulla vita colto attraverso queste dimensioni prende origine dalla «fede cristiana nella vita eterna, la stessa che permise a Francesco d’Assisi, anche quando la sua vita fu sfigurata dal dolore e dalla sofferenza, di cantare “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale”: una fede che ci responsabilizza». Da qui è nata la necessità di prendere la parola per essere «voci profetiche» e «testimoni credibili» del «Vangelo della vita, in un tempo segnato da guerre e conflitti, dalla paura della sofferenza e dalla tentazione della morte procurata. Per essere oggi, secondo la celebre definizione di san Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium vitae scritta 30 anni fa, «popolo della vita e per la vita».
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