Delpini: perché generare figli da benedizione è diventato un fastidio

«Un’umanità che non sa generare il futuro rivela la sua disperazione e noi dobbiamo, invece, dire che il futuro non è la minaccia del nulla che incombe»: la “lectio” dell’arcivescovo di Milano ai Medici cattolici
December 2, 2025
Delpini: perché generare figli da benedizione è diventato un fastidio
L'arcivescovo di Milano monsignor Mario Delpini
Un contributo positivo di riflessione per tornare ad affrontare il tema complesso, e troppo spesso trattato con superficialità, del generare oggi. È questa la logica con cui l’Associazione dei Medici Cattolici Italiani-Amci della sezione di Milano, intitolata a “Santa Gianna Beretta Molla” e l’Ordine provinciale dei Medici chirurghi e degli odontoiatri, hanno promosso il loro consueto convegno annuale il 29 novembre.
Svoltosi presso il Cinema Teatro “Wagner” della parrocchia di San Pietro in Sala, l’incontro ha visto le conclusioni affidate all’arcivescovo Mario Delpini, dopo un’intera mattinata di studio che è stata aperta dal presidente di Amci-Milano, Alberto Cozzi, articolandosi, poi, attraverso le relazioni di diversi docenti, esperti e clinici.
Ma come ritrovare le ragioni del generare che è, anzitutto, un interrogarsi sulla vita, perché tutti siamo stati generati, per usare alcune espressioni che hanno percorso l’intera assise?
«Questo è un tema importante e normalmente censurato», ha detto subito monsignor Delpini che ha avviato il suo intervento dal brano di Genesi 1, 28 - “Dio li benedisse e Dio disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi” - «che è una benedizione e insieme un comandamento per essere felici e dove Dio indica la via della vita». «La generazione, infatti, è una benedizione, il modo con cui si stabilisce un’alleanza che promuove la vita, anche se questo si inserisce, oggi, in un orizzonte culturale che ha banalizzato il rapporto uomo-donna», ha sottolineato il presule.
La questione si fa, quindi, ancora più complessa, soprattutto considerando, come ha osservato l’arcivescovo, che «nel nostro contesto culturale il comandamento è insopportabile e, pertanto, anche la benedizione è irricevibile. Si preferisce essere infelici: generare un figlio è sconsigliato come un azzardo».
E se, certamente non mancano tanti problemi reali, il problema di fondo rimane, insomma, quello «della desiderabilità della vita e del futuro».
«Oggi il figlio non è considerato una benedizione nella mentalità diffusa, ma piuttosto un fastidio, un pericolo, un impegno insostenibile», ha proseguito Delpini, e laddove si decida, comunque, di generarlo va «programmato, essendo l’esito di un progetto di uomini e donne che pretendono di avere sotto un totale controllo la loro vita». E così il figlio “programmato” «può diventare anche il figlio “selezionato”, perché non tutti vanno bene per soddisfare il desiderio dei genitori».
Da qui una chiamata alla responsabilità. «Di fronte a tutto questo credo che, come cristiani e come Chiesa, non possiamo dire che ciascuno prende la sua strada, perché la Chiesa ha la responsabilità di una missione: annunciare il Vangelo. Un’umanità che non sa generare il futuro rivela la sua disperazione e noi dobbiamo, invece, dire che il futuro non è la minaccia del nulla che incombe. Oggi viviamo in un momento depresso in cui sembra che di felicità si parli solo nelle favole del “vissero felici e contenti”. Noi dobbiamo mostrare che la vita merita di essere vissuta, che questo mondo è desiderabile, che nella società in cui abitiamo è desiderabile essere presenti come protagonisti, che il futuro è il luogo della libertà».
Non manca una seconda indicazione da parte di monsignor Delpini. «Nessuna persona o coppia dovrebbe essere lasciata sola. Occorre reagire al rischio della solitudine, perché credo che anche il dramma dell’aborto sia in gran parte frutto di una solitudine, di un sentirsi abbandonati a se stessi».
Infine, il tema cruciale dell’accompagnamento. «Bisogna accompagnare padri e madri a riconoscere il figlio, non basta “mettere al mondo”, occorre consegnare ai bimbi, oltre la vita, il suo senso, con una libertà che cammina verso la verità. Mi pare che il tema educativo abbia una condizione e una rilevanza irrinunciabili: essere capaci di consegnare il senso della vita, non come un indottrinamento, ma come una testimonianza».
Un riconoscimento, questo, che deve essere vicendevole e che potrebbe, secondo l’arcivescovo, porsi anche come una strada promettente per arginare il disagio giovanile, specie nell’età in cui padri e madri sono sentiti lontani e si fa più grande la paura di crescere. «Bisogna accompagnare anche i figli a riconoscere i genitori come presenze e testimoni che la vita non è un’esperienza senza senso. Ritengo, infatti, che molte forme di devianza degli adolescenti nascano dalla difficoltà del rapporto educativo e dal mancato riconoscimento».

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