«Cure palliative, un diritto e un percorso di senso. Noi le pratichiamo»

La testimonianza del personale sanitario del Centro di Cure palliative del Policlinico Campus Bio-Medico di Roma, che interviene nel dibattito sul suicidio assistito e la legge in discussione
July 9, 2025
«Cure palliative, un diritto e un percorso di senso. Noi le pratichiamo»
L'ingresso del Policlinico Campus Bio-Medico di Roma
Nel dibattito parlamentare sul fine vita, la recente discussione intorno ai contenuti della proposta di legge in fase di definizione al Senato ha riacceso un confronto serrato, sia sul piano politico che etico. Uno degli aspetti più dibattuti riguarda il ruolo attribuito alle cure palliative: secondo quanto emerso finora, la proposta prevederebbe che l’accesso al suicidio medicalmente assistito sia subordinato all’inclusione del paziente in un percorso palliativo, nel solco di quanto già affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 242/2019, quale requisito di garanzia per il rispetto e la tutela della persona malata.
Nel dibattito pubblico le principali criticità sollevate riguardano proprio questo percorso, in un sistema sanitario in cui le cure palliative non sono ancora garantite uniformemente, né sufficientemente accessibili su tutto il territorio nazionale. A queste difficoltà strutturali si aggiungono carenze qualitative: dalla formazione specifica degli operatori alla presenza di équipe interprofessionali realmente operative. Queste disomogeneità generano già oggi disuguaglianze significative nell’accesso a un diritto garantito, mettendo in discussione i principi di equità e libertà di scelta.
Sul piano etico, offrire le cure palliative come parte integrante del percorso di accompagnamento nella fase finale della vita deve rappresentare non sono solo un intervento clinico ma anche una proposta di relazione e sostegno che può aiutare la persona malata a esplorare il significato della propria esperienza e a ritrovare spazio per esprimere sofferenze, desideri, paure. Renderle disponibili in modo effettivo e tempestivo è un atto di cura che rispetta l’autonomia della persona e le consente di compiere scelte più consapevoli e serene. Il rischio tuttavia è che, senza un adeguato rafforzamento dei servizi e senza un investimento nella formazione specialistica degli operatori, questa offerta resti inapplicabile nei tempi e nelle modalità necessari.
Inoltre, perché le cure palliative possano esprimere appieno la loro funzione è essenziale che vengano proposte precocemente, non come soluzione dell’ultima ora ma come parte di un percorso che si costruisce nel tempo. Una prospettiva più rispettosa della persona – e anche più solida sul piano clinico e relazionale – è infatti quella che deve promuovere l’accesso precoce, sin dalle prime fasi della malattia inguaribile. L’attivazione anticipata di questo percorso non solo potrà migliorare la qualità della vita ma consentirà una gestione più integrata della sofferenza, rafforzerà il dialogo tra curanti, pazienti e famiglie, e creerà uno spazio di relazione stabile e continuo in cui sarà possibile affrontare anche le domande più profonde del malato e dei suoi familiari.
In virtù della nostra esperienza di équipe che ogni giorno lavora con pazienti in fase avanzata di malattia sappiamo quanto sia delicato costruire relazioni di fiducia. È un processo che richiede tempo, ascolto, continuità. Le domande più profonde nascono solo quando il paziente e la famiglia si sentono accolti, riconosciuti nella propria sofferenza e ascoltati con rispetto e apertura. Ciò che viene posto non è semplicemente un quesito clinico o procedurale ma una domanda esistenziale, che ha bisogno prima di tutto di una relazione solida a cui potersi affidare.
Perché questa prospettiva possa tradursi in pratica è fondamentale anche rafforzare l’integrazione tra il Sistema sanitario e i servizi sociali, superando le attuali frammentazioni organizzative e operative. L’accompagnamento nella fase finale della vita richiede una presa in carico globale, che tenga conto non solo della dimensione clinica ma anche di quei bisogni sociali, psicologici, spirituali, economici e pratici che emergono in modo spesso drammatico nella fase terminale. Senza un'effettiva sinergia tra cura medica e sostegno sociale la persona è sola.
Per questo riteniamo che un percorso tanto complesso non possa essere ridotto a una procedura da attraversare per poi giungere ad atti del tutto estranei alle cure palliative, come il suicidio medicalmente assistito o l’eutanasia.
La possibilità che si possa “accedere” al suicidio assistito solo dopo essere passati obbligatoriamente per le cure palliative snatura il senso stesso del nostro lavoro. Le cure palliative, infatti, non possono essere rese obbligatorie né tantomeno funzionali a un altro fine: sono un diritto, non un filtro da superare. Ogni paziente ha il diritto di accedervi, ma anche – nel rispetto dell’autodeterminazione – di rifiutarle. Temiamo fortemente che questo tipo di impostazione rischi di “contaminare” il significato profondo delle cure palliative, fino a confonderle con pratiche che ne negano la vocazione originaria. L’esperienza di alcuni Paesi mostra come eutanasia e cure palliative possano finire per essere proposte come alternative equivalenti all’interno dello stesso percorso: una deriva che consideriamo culturalmente e clinicamente inaccettabile.
Le cure palliative non sono una tappa obbligata verso la morte assistita. Sono un percorso che richiede tempo di cura, relazione e accompagnamento, in cui si riconosce valore alla vita fino alla fine, anche nella fragilità e nella sofferenza. È per questo che ribadiamo: serve tempo, prossimità, competenze avanzate, una rete di sostegno realmente integrata e – soprattutto – la concreta disponibilità di servizi che siano accessibili, precoci e continui. Ma serve anche un riferimento etico chiaro, che non confonda il prendersi cura con il provocare la morte.
* Gli operatori del Centro di Cure Palliative “Insieme nella Cura” Fondazione Policlinico Campus Bio-Medico
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