martedì 15 novembre 2022
La rapida crescita della piattaforma francese che chiede di raccontarsi per foto "così come sei adesso" in momenti casuali della giornata parla di voglia di autenticità. E dice qualcosa agli educatori
Cosa c'è dietro il boom di Be Real tra i ragazzi?
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Essere se stessi. Una bella sfida, una bella avventura. L’esito di un rapporto educativo? Un bisogno scritto nel nostro essere umani? Un desiderio, o una fonte di paura? Il digitale ci ha condotti a narrare, quasi in modo compulsivo, chi siamo. Ma quasi sempre con dei filtri e attraverso il più potente dei filtri che è il giudizio altrui, il suo like, il suo condividi. L’amicizia diventa perlopiù connessione, e la connessione è funzionale a un posizionamento, spesso nell’ordine dei poteri, della gestione, per influenzare la relazione e – se sei bravo e ti va bene – per ricavarne anche del denaro. Un trend che ha forse saturato il nostro sentire on life, la nostra vita tra i bytes. In questo panorama sta crescendo in queste settimane, e a doppia cifra, una nuova piattaforma social, BeReal, accompagnata da un claim denso: Your friends are real (I tuoi amici sono reali). Il meccanismo è semplice: l’applicazione ti chiede, a un orario casuale uguale per tutti a seconda delle latitudini, di scattare una foto di te e di dove sei (usando le camere frontale e secondaria degli smartphone) in un lasso di tempo molto stretto. Nello scatto devi essere te stesso, spettinato come sei, con il letto da rifare, in mezzo a una strada non necessariamente panoramica, in un luogo che non è per forza di cose così cool. 30 milioni di download, e nei mesi estivi una crescita negli Usa superiore a Tiktok, l’app più usata dai giovani in questo momento. Ma c’è di più: non puoi accedere all’app se non condividi. Se non ti mostri, insomma, non vedi. Qui e ora. Come sei, perché sei davvero solo qui e ora. Non esistono profili passivi, niente sguardi furtivi dalla finestra, a meno di non aprire anche la tua. Vedi solo se ti fai vedere. Be Real è una app lanciata già nel 2020, ma diventata virale solo in questi mesi. Ideata dai francesi Alexis Barreyat e Kévin Perreauda possiamo dire che con loro libertè, egalitè e fraternitè sbarcano nell’infosfera? Con buona probabilità non è una applicazione che sostituirà le altre, e abbiamo troppi pochi dati per dire quanto e come stia influendo sulla nostra dieta mediatica. Analizzandola da vicino, gli esperti del settore qualche domanda se la pongono rispetto alla sostenibilità economica del progetto, visto che gli usuali sistemi per la monetizzazione, come la profilazione degli utenti, sono per ora esclusi. Rispetto agli utenti la nuova app transalpina ha successo perché è un gioco divertente oppure perché ci aiuta a vivere e richiama a un modo diverso di essere nel digitale? La componente voyeuristica propria delle piattaforme sociali resta, addirittura ne risulta potenziata, pur con la discriminante della reciprocità e con la narrazione secondo cui con Be Real si tornerebbe all’antico, alle cerchie di amici, al come siamo davvero senza ritocchini digitali e narrazioni fatali. Dialogando con i giovani in queste settimane emerge – senza pretese di certezze, ma come semplice dato empirico – da un lato il divertimento per qualcosa di nuovo e dall’altro la consapevolezza che Be Real alla fine poi tanto real non è perché c’è già qualcuno che aspetta per poter fare la foto in posa migliore e in luoghi migliori. Tuttavia il segnale che possiamo raccogliere, anche dal punto di vista pastorale, è di una generazione che è stufa che anche ciò che dovrebbe essere ludico crei e aumenti l’ansia costante che l’accelerazione moderna impone a tutti e a tutto. Il bisogno di esserci proprio dell’età si scontra con la necessità di doverci essere secondo regole scritte altrove e sempre più sofisticate, sempre più globali e, come tali, lontane anche dalle percezioni e dalle tradizioni più personali. Be Real è un segnale di permanenza di bisogni umani che la metamorfosi digitale non offusca, talora rimanda, ma che continuano a emergere. Accompagnare questi processi, nella diversificazione dei modelli che Be Real rappresenta, è una sfida educativa che è possibile cogliere liberandosi da un certo cripto-luddismo che serpeggia negli ambienti degli adulti. Senza essere ingenuamente entusiasti, il tempo che viviamo è anche quello delle piattaforme e, come il Sinodo declinato nell’ambiente digitale ci ha mostrato, è un tempo in cui lo Spirito ci ha già preceduti. Proprio il confronto tra le piattaforme, consapevoli dei modelli economici e tecnici che ci sono dietro, nelle modalità di ingaggio e di risposta possiamo rinvenire quella permanenza dell’umano, nella sua bellezza e nei suoi schemi di peccato, utili a un dialogo e un confronto con i giovani. Più che stare con loro sulle piattaforme, può essere interessante confrontarsi con loro delle piattaforme, fuori o dentro il web poco importa, in un dialogo che faccia emergere l’umano autentico e quello da salvare, quello che già riluce della risurrezione e quello che ha bisogno della redenzione. Be Real può essere, più che un nuovo giocattolo, un interessante reagente per comprendere che la vita non è un gioco e che nella vita in gioco c’è tutto, perché abitata dal Tutto. Anche on life.

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