mercoledì 20 marzo 2024
La nuova segretaria nazionale di Missio Giovani: «Una vocazione nata tra i profughi di Castel Volturno. Oggi è stile di vita»
Elisabetta Vitali

Elisabetta Vitali - Missio

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La sua prima esperienza missionaria Elisabetta Vitali non l’ha vissuta in uno slum africano, né in una remota regione dell’America Latina. Ma a Castel Volturno, in provincia di Caserta. Tra case diroccate e ruderi affondati nella sabbia dove vivono migliaia di profughi nigeriani e ghanesi. Un pugno nello stomaco per lei. «Con altri ragazzi eravamo ospiti dei padri comboniani – ricorda –, ci aveva mandati lì il Centro missionario diocesano di Fano». Quelle immagini di povertà e degrado, due Italie che vivono attaccate e talvolta non si incontrano, Elisabetta non le ha più scordate. Così come ricorda molto bene padre Daniele Moschetti e padre Filippo Ivardi che lavorano tra i “dimenticati” di Castel Volturno. Oggi, che a 24 anni è diventata la prima segretaria nazionale donna di Missio Giovani, dopo diverso tempo di uomini al vertice, Elisabetta ha deciso di dare un’impronta incisiva al nuovo cammino. E ne ha parlato durante l’incontro di formazione che si è tenuto nei giorni scorsi a Roma dal titolo “Un cuore che arde”.

Gli under 30 che partecipano alle iniziative della Fondazione Missio sono circa 300 e vengono dal Nord come dal Sud e centro Italia. Dalle diocesi di Bergamo, Pordenone, Torino, Caserta, Napoli, Siracusa, Rieti. «Come penso di impostare i miei tre anni di Segretariato? Io la vedo così: missione è uno stile di vita, è uno stare. Accogliere le persone che vivono in contesti difficili, ascoltarle, che sia qui in Italia o in capo al mondo». Aprire gli occhi e rendersi conto del disagio anche sotto casa. Ciò non toglie che per i ragazzi di Missio Giovani il viaggio estivo sia una tappa fondamentale del percorso. Quest’estate la Fondazione della Cei li porterà in Guinea Bissau, ospiti di diverse congregazioni religiose. Tuttavia, dice Elisabetta, «non è il luogo che fa la differenza, ma il modo». E quando le chiediamo perché ha scelto di trattare i temi della mondialità proprio dentro la Chiesa, e non magari con un ente laico, risponde convinta che «tutto questo si può fare anche fuori, ma è qui dentro che ha davvero “senso”. Senza voler nulla togliere al volontariato di stampo laico, andare dentro una missione e adottare lo spirito missionario significa unire due cose: la lettura della Parola- la fede - e la capacità di stare con... Di mettersi in ascolto».

Non c’è viaggio, per lei, se non c’è crescita personale, anche tramite la spiritualità. Sempre però con l’idea di partire o di restare, «non per salvare il mondo, ma per condividere la quotidianità» delle persone presso le quali si sta. D’altra parte Elisabetta, nata a Fano, seconda di tre figli, con una mamma insegnante di religione e una famiglia cattolica praticante alle spalle, ha iniziato prestissimo a interessarsi di mondialità. Frequentava la terza media quando le hanno parlato dei campi estivi missionari in Italia. «Ero piccola ma l’idea mi è subito piaciuta e ho pensato: «Che figata, voglio farlo anch’io”». E così ha iniziato. Non tutto per lei si esaurisce con la missione naturalmente: Elisabetta dopo il diploma del liceo classico si è iscritta all’università e ora sta per laurearsi in Storia dell’arte. «Amo la Roma barocca, i pittori del Seicento, la pittura in generale e l’arte – dice -. Mi piace andare alle mostre, camminare in montagna, fare trekking, ho anche qualche piccola esperienza in ferrata». Le chiediamo quale sia la priorità per lei tra tutte le emergenze che si presentano oggi in un mondo devastato da guerre, diseguaglianze e migrazioni. «Per me è prioritario ridare dignità alle persone – risponde senza mostrare dubbi -. Il che vuol dire lavorare sulle povertà, sulle differenze di genere, su come vengono accolti i migranti e dare importanza all’essere umano, che va messo sempre al centro». È convinta che «se fosse rispettata la dignità di ognuno questo sarebbe un mondo diverso».

Il nuovo incarico di Segretaria la vedrà dividersi sempre di più tra Roma e Fano per impostare l’indirizzo della nuova leadership. «Una cosa che mi preme? A volte vedo i miei coetanei un po’ defilati, in secondo piano. Bisogna invece affidare delle responsabilità ai ragazzi, come l’hanno data a me! Non per scaricare su di loro, ma perché questo ci fa crescere anche dentro la Chiesa, e ci fa sentire parte di qualcosa in cui siamo noi i protagonisti, non le pedine». Elisabetta insiste sul fatto che i giovani di Missio non devono «stravolgere il pianeta, ma far capire agli adulti che ci siamo e che siamo assolutamente capaci». Anche all’interno della vita della Chiesa. «Nelle comunità cattoliche questo non sempre avviene – fa notare la neo Segretaria – e dire a un giovane tu ti occupi di questo, sei responsabile o sei coordinatore di Missio Giovani a livello diocesano, lo rende partecipe. Io vedo che molti hanno un desiderio di missione non espresso». Un desiderio che va incoraggiato e alle volte tirato fuori con delicatezza. «Non è vero che i giovani sono distanti», puntualizza. «Se siamo bravi come équipe che ti accoglie così come sei e ti fa fare un percorso bello di vita, allora… resti».

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