venerdì 1 dicembre 2023
Don Pino Straface è direttore del Museo diocesano di Rossano-Cariati. Intorno a un prezioso e antichissimo evangeliario ha dato vita a un gruppo di guide turistiche, molte sono donne
Don Straface al centro del gruppo di giovani che lavorano nel Museo della diocesi di Rossano-Cariati come guide ai monumenti religiosi

Don Straface al centro del gruppo di giovani che lavorano nel Museo della diocesi di Rossano-Cariati come guide ai monumenti religiosi - Straface

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Il Vangelo salva. Non è un’affermazione retorica né ridondante ma una sintesi, a dire il vero alquanto didascalica, della realtà attuata da don Pino Straface nella diocesi di Rossano-Cariati, in Calabria. Quasi incastonato tra il mare e le aspre montagne della Sila, infatti, qui è custodito da secoli un evangeliario antichissimo che per intuizione del sacerdote si è trasformato da semplice (benché preziosissimo) reperto storico, religioso e artistico in una testimonianza di promozione umana e sociale.

Il Codex purpureus rossanensis – questo il nome latino del manoscritto, riconosciuto Patrimonio dell’Umanità e nel 2015 inserito nel registro della memoria Unesco – è un codice di 188 fogli di pergamena intinta di porpora su cui, con inchiostro d’oro e d’argento, sono vergati in greco i Vangeli di Matteo e Marco. Di origine bizantina, probabilmente realizzato ad Antiochia in Siria tra il V e il VI secolo e successivamente arrivato in Calabria attraverso un itinerario tuttora ignoto, è considerato uno dei più antichi evangeliari esistenti al mondo nonché uno dei più preziosi, con 14 finissime miniature raffiguranti episodi della vita di Cristo. Da secoli il Codice è ospitato nella diocesi calabrese e attualmente trova spazio all’interno del Museo diocesano di Rossano di cui don Pino Straface è direttore.

È proprio tra le mura dell’istituto che qualche anno fa il destino del sacerdote si è intrecciato a quello del prezioso manufatto miniato. «Nel 1997 ero giovane sacerdote a Rossano – racconta don Straface – e organizzavo in parrocchia incontri con un gruppo di ragazzi e ragazze seguendo il metodo della revisione di vita. In quel contesto, a poco a poco, tra i partecipanti è nata un’associazione di guide turistiche ai monumenti religiosi della città, tra cui naturalmente c’era anche il Codice». All’inizio si trattava di un’attività volontaria ma poi, grazie alla fiducia accordata dal vescovo di allora e di coloro che gli sono succeduti, si è trasformato in un lavoro.

Oggi a quel gruppo è affidata la gestione del Museo, l’organizzazione delle visite e la creazione di eventi legati al Codice. Le persone coinvolte nel progetto sono quasi tutte donne che, grazie all’intuizione di don Pino, hanno trovato un lavoro (per giunta nel settore culturale) in una regione dove il tasso di occupazione femminile si ferma al 31,8%, un risultato che pone la Calabria al terzultimo posto della relativa classifica nazionale. «Il Vangelo, che nella carta pergamenata io sento sempre particolarmente vivo, - continua don Pino - ha dato speranza a un gruppo di giovani, ha permesso loro di restare sul territorio senza emigrare e di vivere in modo dignitoso». Attualmente il Codex continua la sua opera di evangelizzazione soprattutto attraverso il coinvolgimento dei visitatori del museo, ai quali all’uscita viene sempre regalata una copia del Vangelo.

Nel frattempo don Pino – pur continuando il servizio come direttore diocesano e rivestendo il ruolo di vicario generale in diocesi – da pochi mesi ha cambiato residenza e da settembre è stato nominato parroco di Spezzano Albanese, paese di 7mila abitanti che comprende tre chiese e un Santuario, amministrati insieme ad altri due sacerdoti. «Il contesto ecclesiale è vivace; c’è ancora un grande senso di appartenenza alla Chiesa, anche se naturalmente chi frequenta la parrocchia è una minoranza rispetto alla totalità degli abitanti che sto cercando di conoscere meglio proprio in questi giorni di benedizioni delle famiglie, provando a inserirmi in punta di piedi in questo tessuto sociale per me nuovo. La problematica maggiore è il lavoro: quando c’è, è sottopagato o in nero, e la disoccupazione è diffusissima. Ci sono famiglie che vivono in povertà assoluta e migranti che non hanno di che vivere». Per dare risposta a queste forme di emarginazione è impegnata la Caritas che – a livello sia parrocchiale sia diocesano - promuove varie iniziative assistenziali, dalla raccolta e distribuzione di alimenti e indumenti ai servizi di lavanderia e docce. «La cosa più importante – dice don Pino – è l’ascolto. Gli operatori Caritas parrocchiale cercano attivamente le famiglie che per un sentimento di timidezza non si rivolgono alla Chiesa, le visitano e le aiutano».

Tornando a sfogliare il Codice, che è punto fermo della nostra chiacchierata nonché dei tanti incarichi accumulati finora da don Straface, si trova una miniatura che illustra “La cacciata dei mercanti dal tempio”, un episodio che ha a che fare con lo scandalo della ricchezza opulenta spesso contestata alla Chiesa dalla vox populi. La commenta don Straface: «Dall’esperienza come rettore del Seminario prima e poi direttore del Centro diocesano vocazioni, ho imparato il valore della testimonianza. Parlando con gli studenti, mi sono accorto che i giovani ti osservano attentamente e non fanno sconti. Sì, ai preti spesso contestano di essere ricchi e avere tutto. Non lo fanno per astio gratuito ma perché hanno visto questo atteggiamento in alcuni sacerdoti che hanno incontrato. Per me dialogare con i ragazzi è sempre stato un richiamo per cercare di vivere il Vangelo all’insegna della povertà, sobrietà e gratuità. Mi rendo conto che le persone – i giovani o le famiglie – non hanno nessuna difficoltà ad aiutare la tua missione, anche economicamente, se vedono di avere davanti un uomo che vive con onestà e trasparenza la sua missione».



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