martedì 28 marzo 2023
Dal frate cappuccino che guida gruppi di ragazzi alla scoperta di sé (e a riconciliarsi con la fede) un romanzo sui lutti e le ferite attraverso i quali si apre un percorso di vita imprevedibile
Un incontro di Pasolini con i giovani

Un incontro di Pasolini con i giovani - .

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Due persone si incontrano per caso in metropolitana e iniziano a parlare di un lutto che stanno attraversando. Lui è un frate e ha perso da poco il papà, lei è una dottoressa e ha appena saputo che un suo paziente è morto. Il dolore diventa terreno di condivisione e apre un dialogo che ha come meta la speranza. È questo, brevemente, il cuore del nuovo libro di fra Roberto Pasolini, frate minore cappuccino, milanese, professore, impegnato in attività con i giovani. Si intitola Un giorno smetteremo di morire ed esce da San Paolo (160 pagine, 15 euro). Pasolini ha già scritto diversi libri, ma questo è diverso dagli altri per forma e contenuto. Nasce, innanzitutto, dal desiderio di condividere un vissuto personale: «Nel 2019 mio papà è morto dopo una malattia. Scrivere una storia è stato un modo per rielaborare la mia esperienza di dolore e per trovare una luce da condividere con altri – racconta –. Il tema del lutto è tornato anche durante la pandemia, ho visto morire alcuni confratelli e altre persone che avevo vicine». Il romanzo si ambienta su un vagone della metropolitana, mezzo di trasporto che Pasolini usava abitualmente per andare a trovare suo papà. L’autore specifica che l’incontro con Irene – così si chiama la dottoressa – non è avvenuto nella realtà ma è la sintesi di tanti incontri degli ultimi anni.

Fra Roberto Pasolini

Fra Roberto Pasolini - .

«Capita spesso che le persone vengano da me per parlare della perdita di un amico, di un parente, o anche per condividere altre morti simboliche, quotidiane, come un tradimento o una delusione». Quando parla del suo libro, Pasolini ripete più volte la parola «speranza». Ma che speranza ci può essere dentro un lutto? « Nell’esperienza del dolore e della perdita diventiamo più vicini gli uni agli altri, al di là delle vicende personali o delle confessioni religiose – risponde l’autore –. È paradossale, ma quando abbiamo il coraggio di parlare a viso aperto della morte, scopriamo che può diventare il maggior terreno di incontro con gli altri. È un’esperienza che tutti prima o poi dobbiamo attraversare, e che ci interroga». Un’altra speranza si trova nella relazione sincera con gli altri: « Nel momento in cui ci mettiamo a nudo e condividiamo fatiche e debolezze, ci accorgiamo che c’è qualcosa di eterno già prima della morte. È un’intuizione che sperimentiamo ogni volta che viviamo e amiamo fino in fondo». Nel libro non mancano una buona dose di ironia e il superamento di tanti cliché. Pasolini ha scelto il genere narrativo per un motivo preciso: «Noi religiosi di solito scriviamo saggi, diciamo tante belle cose, è un terreno sicuro, ma il rischio è che le persone non li leggano. Come società, ci stiamo abituando a ricevere informazioni veloci e fatichiamo davanti a letture lunghe e impegnative. Così ho provato a calare i contenuti che mi interessano, come la morte, l’eternità, la relazione, in una storia di vita vera. Credo che parlare di Dio in modo più semplice sia una sfida anche per la Chiesa di oggi».

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