Non nominare invano il nome di Dio in Rete
«Non nominare il nome di Dio invano». Non è raro trovare nell’infosfera ecclesiale post che stigmatizzano la «disinvoltura» con la quale, nei prodotti della cultura popolare, si inseriscono riferimenti alla fede cristiana (nonché alla Chiesa, alla sua liturgia o al suo magistero) in modo gratuito e soprattutto senza rispetto per la sensibilità religiosa dei battezzati. Un caso recente è quello della serie Tv “Your Friends & Neighbors” (in streaming sulla piattaforma Apple Tv+, che l’ha prodotta), un “crime drama” in 9 episodi usciti uno alla settimana dall’11 aprile al 30 maggio 2025. Su “Aleteia” francofono (bit.ly/40k3QsD) e ispanofono (bit.ly/441Wqg5) Cécile Séveirac dà conto della mobilitazione del gruppo militante statunitense “CatholicVote” (che intende «ispirare ogni cattolico in America a vivere le verità della nostra fede nella vita pubblica») per una scena presente nel sesto episodio: «Due personaggi – così la descrive il post – entrano in una chiesa cattolica, aprono il tabernacolo, prendono ostie consacrate, le consumano come se fossero dei biscotti». La scena pare non avere nessun valore ai fini narrativi. Non sono abbonato alla piattaforma e quindi non l’ho potuta vedere; ma prendo atto che sul sito di “CatholicVote” (bit.ly/44yeSNr) la relativa campagna «Non è un cracker, è Cristo», che propone di inviare una email di protesta ad Apple, viaggia verso le 500mila adesioni. «Gli eroi dei miei figli sono i santi» Non sono certo realizzati con intenzioni blasfeme i post che compaiono sull’account Instagram di Tatiele Peres (bit.ly/3TK6kNk), giovane mamma brasiliana capace di 57mila follower. Mostrano, prevalentemente, i suoi quattro figli che giocano a “messa”, a “prete” (i tre maschi) e, ultimamente, a “Leone XIV”, giacché il maggiore, Bernardo, ha fatto del neoeletto Papa il tema della festa per il suo sesto compleanno. Mentre la bimba, Maria Clara, lo scorso marzo aveva dedicato la festa dei suoi tre anni a santa Filomena. Alcuni video, nei quali i “giochi” sono realizzati molto realisticamente, contano centinaia di migliaia di visualizzazioni. La cosa ha suscitato l’interesse di “ChurchPop” (bit.ly/4lqlRh6), che ha intervistato in proposito la signora Peres. La testimonianza di vita cristiana in famiglia che questa mamma rende è cristallina: «Recitiamo il Rosario ogni giorno, preghiamo prima dei pasti e raccontiamo sempre le storie dei santi ai bambini. Loro non hanno accesso agli schermi dei dispositivi digitali. I loro eroi sono i santi». E ancora: «Non è facile educare i bambini alla fede al giorno d’oggi. Ma è possibile. Con Dio, con la preghiera, con la Chiesa. Battezzateli fin da piccoli, portateli a messa, leggete la Parola con loro». Tuttavia credo che la signora Peres sottovaluti, in buona fede, i rischi che esporre in tal modo la devozione dei suoi figli sui social porta con sé: chi non fa usare ai bambini tablet e smartphone a maggior ragione non dovrebbe metterceli dentro. Assumersi la responsabilità I due casi che ho appena riferito prendono una luce particolare dall’ascolto del podcast “Il nome in vano” (bit.ly/4lskEGf), secondo episodio della serie “I dieci Demandamenti della tecnologia” che don Luca Peyron sta pubblicando con cadenza settimanale per la rivista “Focus” (bit.ly/3GauddY). L’idea è originale: usare i 10 Comandamenti «come una lente per osservare la nostra relazione quotidiana con smartphone, algoritmi e macchine che simulano l’intelligenza umana», relazione che spesso si risolve in una «delega in bianco» (appunto, un “demandare”). L’autore, teologo torinese, è notoriamente versatissimo quanto alle connessioni tra digitale e fede. Il risultato, finora, è un quarto d’ora di eccellenza oltre che molto godibile. La prima parte dell’episodio è tutta biblica: illustra il secondo Comandamento spiegando che dire un “nome”, a maggior ragione quello di Dio, significa creare un ponte, una relazione, e dunque proponendo questo significato: «Non dire qualcosa tanto per dirla». All’opposto (seconda parte dell’episodio) il secondo Demandamento della tecnologia suona più o meno: «Usa la tecnologia senza curarti di cosa essa usa e di come essa trasformi la società»; cosa che si verifica tanto più frequentemente quanto più le “macchine” digitali che usiamo si presentano complesse, opache, difficili da “smontare” se non si è “addetti ai lavori”. Invece l’uso delle tecnologie deve comportare assumersi la responsabilità di quello che facciamo: e del fatto che lo facciamo con quelle tecnologie, sapendo come funzionano. © riproduzione riservata
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