Chiesa e ambiente digitale: l’America Latina è la più vitale

Iniziative ad alto livello istituzionale, mobilitazioni “dal basso” e riflessioni sul contributo dei cristiani a un’etica della cultura digitale
November 15, 2025
Chiesa e ambiente digitale: l’America Latina è la più vitale
Padre Joaozinho e Frei Gilson
È difficile parlare di fede, Chiesa e ambiente digitale senza tenere conto della vitalità dell’area ispanofona e lusofona e in specie dalla sua componente latinoamericana. Potrei ricordare che da lì ha origine e trae vigore l’iniziativa “La Iglesia te escucha” (bit.ly/3WNyZmp), che ha coinvolto i missionari digitali nella preparazione e nello svolgimento del Sinodo 2021-2024 sulla sinodalità; che la pioniera della missione digitale è suor Xiskya Valladares (bit.ly/480PBwe), religiosa nicaraguense trapiantata in Spagna; che dei 40 e più “missionari digitali” che ho ritratto fin qui nell’omonima rubrica affidatami da “Avvenire” ben 19 parlano le lingue di Messi e di Ronaldo. Non mi stupisce pertanto che la Commissione per la comunicazione della Conferenza dei vescovi del Brasile (CNBB) abbia convocato, il 28-29 ottobre, un “Incontro dei preti in missione digitale” (bit.ly/3JQiCSY), invitando presbiteri di diverse regioni del paese per riflettere sulle sfide e le opportunità dell'evangelizzazione in tale ambiente. Quello che colpisce è l’alto livello istituzionale dell’iniziativa, cui hanno partecipato il presidente della CNBB, Jaime Spengler e, videocollegato, il prefetto del Dicastero per la comunicazione Paolo Ruffini. Con loro hanno preso la parola anche figure iperpopolari della comunicazione cattolica brasiliana, come padre Joãozinho, frei Gilson (bit.ly/49gy9Ge) e padre Lancellotti (bit.ly/47RlarV).
Anche in Messico c’è un’istituzione che si interessa di digitale e Chiesa, o meglio di comunicazione via web e «ministri di culto e associazioni religiose», ma si tratta di un’istituzione civile, la Camera dei deputati. Trovo la notizia su “Religión Digital” (bit.ly/47Cw3PE), che la titola così: «Presentata un’iniziativa per limitare l’espressione della Chiesa sulle reti sociali». Per il momento è una proposta, ma proviene dalla maggioranza di Governo. Con una modifica alla vigente Legge sulle associazioni religiose, finalizzata a prevenire i “discorsi d’odio”, le pubblicazioni in Rete di vescovi, presbiteri o altri membri della Chiesa sarebbero, in caso di approvazione, sottoposte al controllo dell’Agenzia per la trasformazione digitale e le telecomunicazioni in coordinamento con il Ministero dell’interno. La citata Legge vieta già alle associazioni religiose di possedere o gestire media; una tale misura andrebbe a limitare anche la libertà di espressione dei singoli credenti, chierici o laici che siano, e come tale è stata fortemente contestata da quanti (e in Messico non sono né pochi, né poco popolari) praticano l’evangelizzazione per le vie digitali. Sulla piattaforma “Activate” è partita una raccolta di firme che ha rapidamente raggiunto l’obiettivo di 12mila firme (bit.ly/47Om0at), così che la proposta è stata per il momento ritirata. Mi pare proprio questo il dato saliente della vicenda: non so in quali paesi/Chiese d’Europa sarebbe possibile, oggi, registrare un’analoga mobilitazione di follower degli account cristianamente ispirati.
Tornando in Brasile, è arrivato in libreria, lo scorso 23 ottobre, il volume “Cultura digital e Igreja. Desafios etico-pastorais”, a cura di Moisés Sbardellotto, José Antonio Trasferetti e Ronaldo Zacharias (San Paolo). L’opera, forte di venti contributi, nasce in seno all’Istituto Humanitas Unisinos (l’università gesuita privata della regione di Porto Alegre) e affronta le problematiche sottese al titolo lungo tre assi: “Chiesa e ambiente digitale”, “Ambiente digitale e sfide educative-pastorali” e “L’urgenza di una nuova cultura formativa”. A scorrere i titoli, e ancor più a leggere la prefazione del vescovo e teologo Joaquim Giovani Mol Guimarães (bit.ly/49gmoQ4), si coglie che la riflessione centrale dell’opera riguarda l’etica della cultura digitale: «Non sarà possibile una cultura digitale favorevole all'umanità nel suo insieme, tanto meno alla comunità di fede, senza parametri etici», ai quali l’ispirazione cristiana può e deve portare il proprio contributo. Entro questa prospettiva, scrive il vescovo-teologo, si può dire che «la Chiesa non ha bisogno di alcuni potenti influencer» che monopolizzano i fedeli/follower in mezzo a una grave alienazione religiosa, «ma ha bisogno di innumerevoli mini-influencer digitali cattolici», che in comunione con il magistero e l’insegnamento della Chiesa sappiano «evangelizzare, pregare e contemplare, mostrare Gesù Cristo come via, verità e vita, formare la coscienza, stimolare la cittadinanza e i processi di trasformazione della società, in vista di un mondo di giustizia e pace».

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