C’erano una volta i documenti
ora ci sono le “pillole” digitali

La gara a chi pubblicava prima i libretti dei documenti papali, le innate capacità comunicative di certi vescovi, il rito irlandese dello stone lifting
October 25, 2025
C’erano una volta i documenti
ora ci sono le “pillole” digitali
C’erano una volta i libretti dei documenti papali. Nelle editrici cattoliche costituivano una voce importante del bilancio se, grazie a buone fonti, redazioni veloci e tipografie volenterose, riuscivano ad arrivare in libreria prima delle concorrenti. Il digitale ha completamente stravolto queste dinamiche: da tempo ormai i documenti papali sono online dal momento stesso in cui vengono presentati e il mercato di quei libretti si è drasticamente contratto. In compenso i siti di informazione religiosa offrono strumenti che consentono ai fedeli di fruire in breve tempo di versioni “in pillole” di detti documenti: si perde tutta la ricchezza dei loro contenuti, non si apprezza la cura con cui sono stati redatti ma si può andare subito sui social a riportare qualche frase-chiave. Per la recente esortazione apostolica di Leone XIV Dilexi te ho trovato sull’edizione anglofona di “Aleteia” (bit.ly/4qe5E1M) venti brevi estratti del testo papale, per «pregare» e da «condividere». L’occhiello recita: «Se non hai tempo oggi per leggere il nuovo, primo documento di papa Leone XIV, ti offriamo questi brevi paragrafi come un modo per iniziare». È probabile che il mondo anglofono sia più attratto di altri da queste semplificazioni. Anche lo statunitense “Where Peter is”, infatti, offre «Dieci dei migliori passi della “Dilexi te”» (bit.ly/4ovMhj0): ma almeno sono corredati da commenti e dalla raccomandazione di leggere l’intera esortazione.

Le omelie di “don Edo” Menichelli

Il cardinale Edoardo Menichelli, arcivescovo emerito di Ancona-Osimo, c’era invece fino al 20 ottobre scorso (bit.ly/474wPVp), quando, ottantaseienne, il Padre lo ha chiamato a sé. La sua morte ha suscitato nell’infosfera ecclesiale un autentico, affettuoso coro di stima, affetto, ricordi. E sebbene per l’età e per la formazione “don Edo” non abbia fatto in tempo a diventare popolare sui social, le sue notevoli, direi innate capacità comunicative rappresentano una costante nelle commemorazioni che gli sono state dedicate. Il vescovo Nazzareno Marconi, su “In Terris” (bit.ly/3KUQ3UT), ne ricorda la «straordinaria e invidiabile capacità di fare prediche interminabili» che «il popolo seguiva con particolare attenzione fino alla fine». Riccardo Maccioni, sul profilo Facebook (bit.ly/48ItI6O), lo chiama «pastore nel senso più pieno della parola, umile come solo i grandi sanno essere, semplice perché ricco di quella cultura non confinata nelle librerie ma diventata vita». Ad Andrea Gironda, sul sito personale (bit.ly/3JpPhP4), torna in mente la rubrica “Lo Spillo” che il futuro cardinale teneva sul bollettino di una parrocchia romana, e commenta: «Aveva una dote incredibile, quella di saper provocare con intelligenza, lasciando spazio alla riflessione». Vincenzo Varagona, che lo ha commemorato per primo qui su “Avvenire”, richiama anche su Facebook (bit.ly/3Wf2xci) la scena di uno zucchetto maltrattato, durante una cresima, per testimoniare che era «carismatico, autorevole, a volte anche teatrale, per fare passare il messaggio».

Indiana Stones e le tradizioni ritrovate

C’era una volta, infine, ma proprio una volta – cioè secoli fa –, in Irlanda (e anche in Scozia e in Islanda), una ritualità sociale non priva di componenti religiose, che oggi rivive per le vie digitali. Ci racconta tutto, sul blog “Una penna spuntata” (bit.ly/43ysDuG), un’esperta in santità, folklore e magia come Lucia Graziano. La tradizione di cui si parla è quella dello “stone lifting”, il sollevamento dei macigni, «misura di quanto un uomo valesse davvero», spiega Graziano. L’esercizio veniva praticato dagli uomini «nei giorni di festa, durante le fiere, ai matrimoni e persino ai funerali» e per i ragazzi costituiva un rito di passaggio. La consuetudine, legata alle società rurali, è declinata insieme a esse. Il suo revival si deve all’irlandese David Keohan e al tempo del lockdown, che prima gli ha suggerito di ovviare all’impossibilità di andare in palestra, usando i “pesi” presenti nel giardino di casa sua, poi lo ha spinto a fare ricerche in Rete su questa pratica, e infine lo ha condotto (come, nello stesso periodo, tanti futuri missionari digitali) a ribattezzare il suo profilo Instagram con il suggestivo nome di “Indiana Stones” (bit.ly/3Jid9Em) e a mettere insieme, pietra su pietra, 37mila follower. «Non c’è nulla di più vitale (o di più autolesionista)», conclude Graziano il suo articolo, «di una tradizione antica che, nonostante tutto, si rifiuta ostinatamente di rimanere morta. E anzi, di botto torna popolare e ricomincia a imporsi», profittando – aggiungo – dei modernissimi canali social.

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