Quando la filosofia smonta il mito dell’uomo "naturalmente violento"

Il salto di di paradigma postulato da Tommaso Greco nella sua "Critica della ragione bellica"
December 20, 2025
«Si vis pacem, para bellum» recita la celebre locuzione latina, un’espressione del senso comune, diremmo, più che del buonsenso: «Se vuoi la pace, prepara la guerra». È il riflesso gravoso di un’antropologia culturale che pone la guerra al centro del mondo, come sancito per secoli dalla “histoire-bataille”, la storiografia dei fatti d’arme, dei condottieri e delle conquiste, che rimaneva indifferente o quasi al destino degli uomini, «la carne da cannone» di cui parlava Chateaubriand. Per di più dalla Seconda guerra mondiale in avanti le vittime dei conflitti sono soprattutto civili e oggi è così dall’Ucraina a Gaza, dal Sudan alla Nigeria. Un approccio, quello meramente militare, criticato nel corso del ‘900 dalla Scuola francese delle Annales di Febvre, Bloch e Braudel, che allargarono l’orizzonte alle scienze sociali, all’economia e alla geografia nella luce di una storia «più larga e più umana» secondo l’auspicio del medievista Henri Pirenne.
Ma il vero salto di paradigma resta da fare e ora lo postula Tommaso Greco, filosofo del diritto in cattedra a Pisa, che per Laterza ha dato alle stampe un’importante Critica della ragione bellica. Egli adotta la prospettiva di «pensare la pace» e confuta l’idea per cui la natura stessa dell’uomo sarebbe violenta, riprendendo in proposito il cruciale carteggio del 1932 tra Albert Einstein e Sigmund Freud. Il padre della psicoanalisi interpretava lo spirito guerrafondaio come una pulsione di morte legata all’eros, laddove il premio Nobel per la fisica proponeva agli Stati «la creazione di una autorità legislativa e giudiziaria col mandato di comporre i conflitti». E adesso? È legittimo ed è lungimirante che l’Europa destini risorse crescenti ai programmi di riarmo temendo l’allungarsi verso Ovest dell’ombra di Putin?
Greco invita piuttosto a cambiare il punto di vista e chiarisce che rassegnarsi ad assecondare quanto spinge verso la guerra, invero non fa che avvicinarla. Si tratta, insomma, di «costruire la pace» come chiedeva papa Francesco, irrobustendo le ragioni del pacifismo giuridico, quindi le organizzazioni internazionali quale elemento terzo, purtroppo “assente” come ebbe a scrivere Norberto Bobbio (pensiamo alla marginalità odierna dell’Onu). È un modo concreto di negare il primato luttuoso della sovranità nazionalistica in nome del «diritto fraterno» teorizzato da Eligio Resta (Laterza 2002). Tale utopia giuridica, argomenta Greco, risale a Per la pace perpetua di Immanuel Kant (1795) e giunge fino a noi nelle riflessioni di Popper, Kelsen, Simone Weil, Gandhi, Camus, e in Italia grazie ai contributi di Aldo Capitini, Giorgio La Pira, Carlo Cassola, Francesco Carnelutti, Sergio Cotta… Una tradizione che tra l’altro stabilisce il nesso indissolubile tra la pace e la democrazia.
Ma quanti tipi di pacifismo esistono o abbiamo visto all’opera? È giusto, per esempio, escludere sempre e comunque l’ingerenza armata ai fini umanitari, come quella nelle guerre balcaniche degli anni ‘90? Ovvero, bisogna sottrarsi al dilemma di intervenire contro i regimi autoritari, come teorizzato al tempo dei fascismi da molti nazionalisti americani e inglesi? Sono le domande che scandiscono Pacifismi. Storia plurale di un’idea controversa dello storico delle idee Roberto Della Seta, edito da Mimesis. La sua ampia ricognizione prende le mosse dall’ecologismo e proto-pacifismo dell’americano Thoreau e del russo Tolstoj per arrivare fino alle esperienze di Alex Langer e di don Tonino Bello come di altri sacerdoti-militanti (Bettazzi, Zanotelli, Bizzotto). Polemico l’approdo finale del libro, con un’accusa di strabismo rivolta ai pacifisti europei di oggi che sarebbero succubi di un malinteso occidentalismo: pronti a mobilitarsi per la Palestina in preda al senso di colpa post-coloniale, inerti invece sull’invasione russa dell’Ucraina, un Paese che pure aspira disperatamente a diventare Europa e Occidente.

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