Un Arciere di Dio digitale sul confine tra Messico e USA
«Non sono emigrato per necessità, sono emigrato perché mi sentivo chiamato a stare con i miei concittadini negli Stati Uniti»
Per raccontare la storia del missionario digitale Arquero de Dios bisogna mettersi sul confine tra Stati Uniti e Messico, per due motivi. Il primo è che il padre salvatoriano Ricardo Rivera Gutiérrez, che si cela dietro gli account così denominati, è nato nel centro del Messico (a Lázaro Cárdenas) nel 1992, ma vive a Tucson, in Arizona, dopo essere stato ordinato sacerdote a Milwaukee, nel Wisconsin, nel 2024. Il secondo è che egli sente come prioritario, nel suo ministero vissuto onlife, rivolgersi alla vasta comunità ispanica degli immigrati negli USA. «Non sono emigrato per necessità, sono emigrato perché mi sentivo chiamato a stare con i miei concittadini negli Stati Uniti», dice infatti in un post dello scorso aprile. Ne avverte con forte empatia il dramma, fatto di solitudine, sradicamento culturale (specie per la lingua), impossibilità di rientrare in patria. Una chiamata giunta al termine di un percorso lungo: entra in seminario una prima volta in Messico, a 15 anni; ne esce, va all’università e si laurea in psicologia, ha una fidanzata, insegna alle elementari. Poi lascia tutto, «lavora, viaggia, sogna», e nel 2020 entra nuovamente in seminario, ma negli USA, presso la casa di formazione che la Società del Divino Salvatore regge, come detto, nel Wisconsin.

Sui social network lo conduce, nello stesso anno 2020, il Covid: in questo non si discosta da molti altri missionari digitali. Oggi troviamo l’Arquero de Dios su TikTok con un milione di follower, su Facebook con 700mila, su Instagram con 167mila. Su tutti i suoi social sceglie di chiamarsi “Arciere di Dio” perché immagina di essere, nella Rete, come gli angeli che in tante immagini sacre stanno accanto a Dio imbracciando un arco, pronti a proteggerlo. Una postura che potremmo definire apologetica, sapendo che in America Latina l’“arquero” è anche il portiere delle squadre di calcio. I post di don Ricardo Rivera Gutiérrez denotano una certa varietà di contenuti e di linguaggio: l’indubbia vis comica (sottolineata dall’immagine del profilo su Instagram) convive con orrifiche personificazioni del diavolo. Esprime una forte devozione alla Madonna, che gli fa guardare con poca simpatia la recente nota vaticana su alcuni titoli mariani. Piccole catechesi sul sacramento della confessione si alternano con riferimenti alla famiglia e al fratello prete in Messico, e persino all’ex fidanzata (quando testimonia sulla sua vocazione). Ultimamente si è esposto nella critica a una recente proposta di legge messicana, di cui ho riferito qui su Avvenire, tendente a limitare la libertà di espressione sui social.
Meritano una sottolineatura alcuni video che l’Arquero de Dios dedica con intensa partecipazione alle storie del suo vissuto di pastore. Come quello da 2,7 milioni di visualizzazioni nel quale, commosso all’uscita da un ospedale, dice: «Sono venuto ad impartire l'unzione degli infermi ad un paziente, e posso solo dirvi che oggi una famiglia sta piangendo, forte», ma «non potete immaginare come mi sento: oggi una persona sta per entrare in paradiso». Nel riprenderlo su ChurchPop, Harumi Suzuki sottolinea l’adesione dei follower, che a loro volta hanno postato nei commenti le proprie esperienze di malattia confortata dalla fede e dalla speranza.
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