Il "tu" e il "lei" sono convenzioni, non si può licenziare per questo

La dipendente di un circolo romano esclusivo sarebbe stata licenziata per un saluto inadeguato. Non è chiaro, ma se fosse così non sarebbe giusto. Ecco perché
December 5, 2025
Il "tu" e il "lei" sono convenzioni, non si può licenziare per questo
Una gara di canottaggio al Circolo Canottieri di Roma/ ANSA
Caro Avvenire,
ci sono notizie che sembrano uscite da un racconto grottesco, e invece sono drammaticamente reali. Un’addetta alle pulizie è stata licenziata dal Circolo Canottieri Roma, pare, per aver dato del tu a una socia. Non per scarso rendimento, non per negligenza, non per mancanza di rispetto nei comportamenti. Per una parola. Un pronome. Mi chiedo se davvero siamo al punto in cui una sillaba vale più di anni di servizio, di fatica, di rispetto dimostrato con i fatti. Un tu che forse non voleva offendere, ma semplicemente riconoscere l’altro come essere umano prima che come “socia”. Qui non è in discussione la buona educazione. Qui è in discussione la dignità. Perché, quando il galateo diventa strumento di esclusione, non è più rispetto: è potere travestito da forma. La domanda resta sospesa, amara e semplice: è più grave ricevere un tu, o togliere il pane?
Francesco Vitale
Catania
Caro Vitale,
lei è una delle nostre meritorie sentinelle sulle storture nel mondo del lavoro italiano. Devo però invitarla alla cautela su un caso che deve ancora trovare una sua versione condivisa e sul quale, pertanto, bisogna evitare di emettere sentenze premature. L’episodio riguarda un’addetta alle pulizie del Circolo Canottieri Roma, licenziata dopo circa 20 anni di servizio. La rescissione del contratto da parte dell’azienda – avvenuta durante l’estate – sarebbe stata motivata da vari (presunti) comportamenti della collaboratrice: tra questi, l’uso del “tu” (anziché il formale “lei”) nei confronti di una socia del club, ritenuto un’aperta mancanza di rispetto. Ma la prestigiosa istituzione sportiva-mondana della Capitale rimprovera anche altro alla dipendente: tra gli addebiti, un lancio di asciugamano verso la socia, che in quell’occasione sarebbe stata incinta e distesa su un lettino, oltre a precedenti richiami disciplinari. L’addetta contesta questa versione. Sostiene di essersi sempre rivolta con rispetto ai frequentatori, di aver fatto, anzi, gli auguri per la gravidanza alla signora in questione, tantomeno le avrebbe gettato l’asciugamano. Si dovrà ora esprimere il tribunale del lavoro, di fronte a cui è stato impugnato il provvedimento. La prima udienza è fissata per gennaio. Stiamo dunque al tema più generale che lei solleva, caro Vitale, in un’epoca in cui il “tu” sembra prevalere senza troppi scandali. È forse anche un’eredità di lungo periodo del Sessantotto. Allora, i movimenti giovanili attaccavano proprio l’uso delle convenzioni come strumenti di potere. L’idea del “tu a tutti” non era un gesto di maleducazione. Voleva essere in primo luogo un atto politico contro le gerarchie simboliche. Si puntava a eliminare le distanze di classe, a rifiutare lo status come criterio di valore: in definitiva, a democratizzare le relazioni. Forse, in alcuni ambiti, si è inizialmente ecceduto nella direzione opposta, ma ciò spesso accade con le grandi trasformazioni che hanno un carattere radicale. Devo confessare che la distinzione lei/tu non mi dispiace se intesa come un doppio livello di relazione, che segna una differenza di conoscenza tra persone e un accorciamento delle distanze nel passaggio da un appellativo all’altro.
Dobbiamo tuttavia rimanere consapevoli che si tratta di una regola convenzionale, ben diversa da norme morali, le cui violazioni sono molto più gravi. Questa partizione è stata proposta e indagata dallo studioso Elliot Turiel. I suoi esperimenti sono particolarmente significativi perché mostrano come già i bambini comprendano le due categorie. Le norme morali riguardano giustizia, diritti, danni ed equità. Anche i più piccoli le giudicano indipendenti dall’autorità e dal contesto culturale. Se una maestra dice: “Da oggi è permesso picchiare”, gli scolari risponderanno che resta comunque sbagliato. Le regole convenzionali, invece, riguardano etichette sociali, buone maniere, modi di rivolgersi agli adulti, l’abbigliamento appropriato... Anche i bambini le considerano arbitrarie e dipendenti dall’autorità o dal contesto sociale. Se l’insegnante cambia una norma consueta (“oggi potete parlare senza alzare la mano”), i bambini giudicano che allora è permesso. L’uso del tu/lei è una tipica norma convenzionale, che varia da società a società (ci sono culture e lingue che non hanno pronomi diversi), può cambiare in base al contesto, non implica un danno o un’ingiustizia morale. Per questo sembrerebbe del tutto sproporzionato il licenziamento per una “mancanza di rispetto” di questo tipo. In caso contrario, significherebbe che il “lei” rappresenta ancora una forma di potere che qualcuno può esercitare su gruppi subordinati, i quali non possono modificare la propria condizione. Una visione che viene dal passato, caro Vitale, e che non ha ragione di sussistere. Si potrà fare notare al personale che è preferibile rivolgersi ai clienti con il “lei” senza ricorrere a misure così drastiche e ingiuste. Possono esservi gerarchie, ma non gerarchie di diritti. Auspichiamo quindi che nel caso specifico si pratichi il rispetto di tutti, a partire da quello dei lavoratori che svolgono le funzioni più faticose e meno riconosciute e ai quali, spesso, ci si rivolge con un “tu” di condiscendenza o superiorità.

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