Gli anziani esclusi dalla società dell'efficienza? Ma il futuro sono loro
Un lettore elenca alcuni temi che dovrebbero essere centrali in una comunità destinata all'invecchiamento. E per la quale dovremmo metterci seriamente a lavorare

Caro Avvenire, ho letto con interesse la riflessione della dottoressa Galli sui suicidi degli anziani, alla quale mi sento di aggiungere una mia considerazione imperniata su alcuni altri elementi. Vanno per esempio analizzate l’incidenza sociale ed educativa dell’attivismo come scopo primario del vivere e la conseguente rimozione della meditazione ritenuta tempo perso; la concezione del tempo come rapido e inevitabile processo del tramonto anziché continuità ricorsiva di risorgenza; la rimozione dal quotidiano della mortalità; l’idea che la vita termini con la fine individuale come la corsa del treno alla discesa del viaggiatore...
Mauro La Spisa
Mauro La Spisa
Caro La Spisa, lei elenca alcuni dei temi culturali ed esistenziali che dovrebbero stare al centro dell’attenzione di una società destinata all’invecchiamento e alle prese con la crescita dei suicidi tra gli ultrasettantenni. Invece, alcuni fenomeni vengono ignorati o sottaciuti, come ha ben evidenziato Antonella Galli nella sua analisi, oppure altre tendenze vengono promosse senza considerarne gli effetti secondari. Siamo di certo spinti alla religione dell’attivismo, del consumo e dell’efficienza, come Luigino Bruni da anni denuncia sulle pagine di “Avvenire” (lo ha fatto recentemente anche in occasione del martellante e pervasivo “Black Friday” commerciale di questi giorni).
Divertirsi sembra diventato un obbligo: Divertirsi da morire è il titolo di un celebre libro di Neil Postman, il quale ha contribuito a diffondere l’idea che i media elettronici – prima la televisione, poi il digitale – trasformino la comunicazione pubblica in intrattenimento. Secondo questa prospettiva, alimentata dalla struttura produttiva (ne hanno scritto di recente da Zygmunt Bauman a Mark Fisher fino a Byung-Chul Han), la dinamica sociale, economica e persino politica contemporanea tende a strutturarsi attorno a meccanismi di spettacolarizzazione, distrazione e ricerca continua di stimoli piacevoli. Per motivi fisiologici ed esistenziali, spesso gli anziani sono esclusi da questo processo, sia perché non possono o non vogliono stare al passo con questi stili di vita sia perché un elemento che vi si accompagna è quello della ricerca dell’eterna giovinezza. E non tutti riescono a restare (o a fare finta di essere ancora) ragazzi scherzosi e spensierati.
Se gli anziani “funzionano” bene, sono ammirati e portati come esempi virtuosi. Quando invece la salute non li assiste o le vicende attraversate li hanno molto provati, vengono dimenticati e lasciati spesso soli nell’affrontare le proprie difficoltà. Non è colpa loro, anzi, ma i vari Umberto Orsini, Michelangelo Pistoletto, Corrado Augias e tanti ultranovantenni che vediamo perfettamente lucidi e attivi diventano “benchmark” come si dice oggi (punti di riferimento e criteri di valutazione) per tutti coloro che hanno superato l’età della pensione. Ed è molto facile sentirsi inadeguati o addirittura “inutili” di fronte a quei modelli. In questo senso, il magistero di papa Francesco è stato importantissimo per contrastare una cultura dello scarto che include frequentemente gli anziani non più “produttivi” e li abbandona anche nelle relazioni familiari. Il ruolo dei nonni, costantemente sottolineato, è invece uno dei principali motivi per cui anche con il passare degli anni, nella rete delle relazioni, tutti devono sentirsi importanti e valorizzati.
Non dobbiamo, però, dimenticare chi nipoti non li ha e finisce ai margini per la perdita di connessioni significative. Va elaborata, come lei giustamente avverte, caro La Spisa, una capacità di pensare globalmente al nostro futuro fatto, per fortuna, di persone che vivranno sempre più a lungo, ma anche costellato di temi connessi a questo nuovo assetto demografico. Non vorrei che la risposta fossero solo efficienti assistenti robotici e case di riposo più accoglienti e confortevoli, oppure, non sia mai, assecondare proprio i suicidi assistiti dipinti come scelte di autonomia e dignità (il caso delle gemelle Kessler è indicativo). Evitiamo in primo luogo una discriminazione tra chi ha le risorse (materiali e personali) per rimanere nella società del divertimento e chi ne è, per varie ragioni, escluso. E poi mettiamoci seriamente a lavorare con la prevenzione in sanità al fine di garantire una vecchiaia in salute al maggior numero di persone. Quindi, immaginiamo una società che sia inclusiva, variegata e solidale, in modo da offrire il doveroso spazio a ciascuna età e a ciascun modo di condurre la propria esistenza, pur sapendo che siamo fragili e vulnerabili, sempre esposti al male di vivere.
© RIPRODUZIONE RISERVATA





