«Stand by Me» e la dialettica malata dell’America

Un lettore ricorda la bellezza del film di Rob Reiner. Ma i commenti sulla morte violenta del regista fanno riflettere
December 19, 2025
«Stand by Me» e la dialettica malata dell’America
Uno screenshot del film "Stand by me" di Rob Reiner
Caro Avvenire, Stand by Me di Rob Reiner è a mio parere il più bel film americano degli ultimi 50 anni avente per soggetto i ragazzini e la loro crescita, poi copiato un po’ da tutti. Nessun film ha mai descritto la preadolescenza con tanta sensibilità. Le genialità di autore, regista e attori vi sono moltiplicate esponenzialmente. C’è tanta tenerezza in questa opera che basterebbe da sola alla tanto blaterata educazione all’affettività nella scuola. The body, il titolo originale del racconto di Stephen King, è il corpo che si lascia alle spalle quando insorge l’adolescenza, ed il film non è altro che la celebrazione di questo fondamentale rito di passaggio, con la poesia del linguaggio cinematografico di un maestro. Forse è questo il miglior modo di ricordare Rob Reiner, e lasciare agli psicanalisti il rovello di spiegare le ragioni del suo omicidio.
Giuseppe Gabrieli
Caro Gabrieli, non ha rattristato solo i cinefili la morte violenta, lo scorso 14 dicembre, del regista Robert Norman Reiner, che ha diretto pellicole molto acclamate oltre quella da lei citata, comprese Harry, ti presento Sally…, Codice d’onore e Misery non deve morire. L’omicidio suo e della moglie Michelle Singer, di cui è attualmente accusato il figlio Nick, ha portato alla ribalta i problemi di dipendenza da sostanze e di salute mentale che spesso travagliano società affluenti come quella americana, venendo però nascosti o ritenuti tipici unicamente dei contesti più disagiati. Ma sul fatto si è innestata anche una componente politica.
Il presidente Donald Trump ha scritto sui social media: «Rob Reiner, un regista e attore tormentato e in difficoltà, un tempo molto talentuoso, è morto con sua moglie Michelle, secondo quanto riferito a causa della rabbia che ha provocato negli altri con la sua grave, irriducibile e incurabile malattia mentale nota come Trump Derangement Syndrome (talvolta indicata con l’acronimo TDS). Era noto per aver fatto impazzire le persone con la sua furiosa ossessione per il presidente Donald J. Trump». Come se il famoso autore di Hollywood fosse stato vittima di una sua presunta ossessione patologica nei confronti del capo della Casa Bianca, circostanza che gli inquirenti non hanno mai preso in considerazione.
Di certo Reiner era schierato con il Partito democratico ed era attivamente impegnato nell’opposizione all’attuale Amministrazione. La sua militanza lo aveva portato a definire Trump «razzista, sessista, anti-gay e antisemita», ritenendolo «mentalmente inadatto» a essere presidente. Aveva avvertito che le azioni del presidente potessero mettere a rischio l’equilibrio istituzionale del Paese. E in interviste ai media lo aveva attaccato con parole molto dure, arrivando a definirlo un «criminale» e una persona che «mente praticamente ogni minuto della sua vita», paragonandolo infine a uno «zombie o uno scarafaggio» nel contesto delle dinamiche politiche degli Stati Uniti. In nessuna occasione, però, aveva incitato alla violenza o fatto riferimento ad azioni non democratiche per un cambio della leadership nel Paese.
In ogni caso, il commento falso e irrispettoso di fronte alla tragedia da parte del presidente ha suscitato critiche persino nel Partito repubblicano. Nel complesso, la vicenda umanamente drammatica e politicamente deprecabile mostra quanto la dialettica pubblica in America vada deteriorandosi. E quanto i temi civili di alcuni film di Reiner, come la strenua lotta per la verità e la giustizia dentro le Forze Armate contro una forma degenerata di patriottismo raccontata in Codice d’onore, rischino di restare confinati nelle sale cinematografiche. Un epilogo amarissimo che ci interroga, perché un modello di rissa senza alcun riguardo per l’avversario e le regole condivise sembra diffondersi rapidamente anche in altre realtà.

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