La disaffezione al voto e la fiducia in Mattarella
L'astensionismo è un'emergenza che sconforta. Ma il modo di fare politica del Presidente, attento al bene comune, espressione di valori umanistici laici e cristiani, ci incoraggia

Caro "Avvenire",
l’Italia vive una contraddizione che nessuno affronta apertamente. Da una parte l’astensionismo cresce fino a trasformarsi in una normalità democratica: un Paese dove vota la metà dei cittadini, e spesso anche meno. Dall’altra, la figura più rispettata è un Presidente della Repubblica che non è mai stato un leader di partito, che non ha mai cercato popolarità, che non ha mai costruito consenso attraverso slogan o marketing politico. Il gradimento per Sergio Mattarella è l’ultimo, fragilissimo ponte rimasto tra cittadini e istituzioni. La verità scomoda è che l’Italia non ha fiducia nella propria classe dirigente. E l’astensionismo non è altro che la cartina di tornasole di questa sfiducia radicale.
Alessandro Bosazzi
l’Italia vive una contraddizione che nessuno affronta apertamente. Da una parte l’astensionismo cresce fino a trasformarsi in una normalità democratica: un Paese dove vota la metà dei cittadini, e spesso anche meno. Dall’altra, la figura più rispettata è un Presidente della Repubblica che non è mai stato un leader di partito, che non ha mai cercato popolarità, che non ha mai costruito consenso attraverso slogan o marketing politico. Il gradimento per Sergio Mattarella è l’ultimo, fragilissimo ponte rimasto tra cittadini e istituzioni. La verità scomoda è che l’Italia non ha fiducia nella propria classe dirigente. E l’astensionismo non è altro che la cartina di tornasole di questa sfiducia radicale.
Alessandro Bosazzi
Caro Bosazzi,
Avvenire, forse unico tra i media italiani, ha dato risalto all’astensione alle regionali di domenica e lunedì più ancora che ai loro risultati (attesi e non sorprendenti), mentre Danilo Paolini, nel suo editoriale, ha affrontato di petto un’emergenza che non può più lasciare indifferenti coloro che hanno a cuore il funzionamento della democrazia nel nostro Paese. Le ragioni della disaffezione verso il principale strumento di espressione della propria partecipazione politica e di delega delle decisioni fondamentali ai rappresentanti selezionati sono molto indagate e, ormai, probabilmente anche ben comprese. Resta il fatto che non riusciamo a invertire la tendenza, ormai giunta a un livello allarmante. Come portare i nostri cittadini ai seggi? Bisogna distinguere tra le ragioni profonde, razionali o emotive, che spingono al voto, e motivi pragmatici che possano favorirlo. Tra le prime, la scomparsa di partiti fortemente identitari gioca un ruolo chiave, così come i nuovi meccanismi della comunicazione digitale che stanno modificando l’idea classica di opinione pubblica, la cui conseguenza è il fragile e mutevole consenso verso gli aspiranti leader. Su questo versante, a breve, sembra difficile intervenire in modo efficace.
Diverso, per esempio, sarebbe agire in maniera radicale su aspetti procedurali. In primo luogo, l’introduzione del voto elettronico dai propri dispositivi, ammesso che sia disponibile un protocollo tecnico davvero sicuro e possano essere minimizzati rischi collaterali quali sostituzione di persona e influenze indebite sugli elettori lontani dal seggio (anche se fenomeni illeciti si hanno pure oggi). Un’idea provocatoria è, invece, quella di stabilire la nullità di una tornata in cui l’affluenza rimanesse sotto il 50% (o un’altra quota realistica), con ripetizione del voto la settimana successiva. Qui potrebbe funzionare una sorta di incentivo esterno – liberiamoci di questa incombenza senza spendere troppi soldi per l’organizzazione –, ma costituirebbe una blanda forma di obbligo indiretto, cui molti potrebbero obiettare.
A questi discorsi sconfortanti, caro Bosazzi, lei contrappone la fiducia in una figura luminosa come quella dell’attuale Presidente della Repubblica. Penso sia vero che Sergio Mattarella gode della stima e dell’affetto di tantissimi connazionali, e sembra quasi superfluo ripetere perché ciò accada. Un modo di fare politica attento al bene comune, espressione di valori umanistici laici e cristiani, declinati con pacatezza ma senza cedimenti, un riferimento anche a livello internazionale per capacità di cogliere le reali urgenze da affrontare con determinazione in tempo di guerre tragiche e odiose e di minacce alla convivenza, provenienti dall’interno e dall’esterno del Paese. Non è un caso che il Capo dello Stato continui a subire intimidazioni esplicite da Mosca e attacchi obliqui da alcuni segmenti dei media, dei partiti e degli interessi organizzati italiani. Evidentemente dà fastidio la sua limpida testimonianza di democrazia, rispetto della legalità ed equilibrio, argini a sopraffazioni, nazionalismi autoritari, ingiustizie e attentati alla dignità di ciascuno.
Un sistema vitale che vedesse l’attivo coinvolgimento della maggioranza dei suoi cittadini sulla scia dei migliori esempi istituzionali non avrebbe difficoltà a presentare persone adeguate a ricoprire le cariche più importanti con “disciplina e onore”, secondo l’articolo 54 della nostra Costituzione. Se, tuttavia, non fermiamo l’emorragia di fiducia nei processi liberal-democratici e non alimentiamo di convincimenti forti il terreno in cui si radica la pianta del bene comune, saremo condannati a rimpiangere gli statisti del presente come del passato e a pentirci della nostra accidia civile.
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