La scuola ha docenti “fragili”? No. Stimiamoli e sosteniamoli

Un lettore affronta con noi il tema del rinnovamento della scuola. Ma il problema non sono gli insegnanti
November 21, 2025
La scuola ha docenti “fragili”? No. Stimiamoli e sosteniamoli
La scuola non è esente da problemi, ma una criticità importante sta nel contesto in cui si muove /Siciliani
Caro Avvenire, nel 2020 il Ministero dell’Istruzione è stato sdoppiato in due dicasteri distinti: scuola e università. Una scelta logica e necessaria: funzioni diverse richiedono organizzazioni diverse. La decisione di sdoppiamento del Ministero sembra presupporre la tesi di McLuhan circa la distinzione tra mezzi “caldi” e mezzi “freddi”, ricordando alle scuole il loro mandato costitutivo: sviluppare “capacità e competenze, generali e specifiche, attraverso conoscenze e abilità”. Eppure, nella quotidianità di molte aule, la didattica resta intrappolata in schemi universitari. Libri di testo rigidi e modelli preconfezionati condizionano ogni attività. Strumenti digitali recenti stimolano il pensiero invece di condizionarlo. La scuola, considerata la professionalità fragile dei docenti, sopravviverà solo se saprà accendere menti e curiosità; non se continuerà a distribuire prodotti preconfezionati.
Enrico Fortunato Maranzana
Caro Maranzana, la divisione del Ministero attuata sotto il secondo governo Conte risponde principalmente a ragioni organizzative e amministrative. Risalgono ad anni precedenti le linee guida, coerenti con l’orientamento europeo delle competenze chiave, che introducono i concetti di base da lei citati. La scuola ha oggi il mandato di sviluppare conoscenze, abilità e competenze, laddove le “conoscenze” sono le informazioni e i contenuti che si possiedono; le “abilità” rappresentano le procedure e le tecniche che si sanno usare; e le “competenze” costituiscono la capacità di unire conoscenze e abilità per agire in modo efficace in una situazione reale. La sua lettera appare ingenerosa nei confronti dei docenti e ripete un rilievo che fino a qualche tempo fa era frequente nella letteratura pedagogica sulla didattica dei nostri istituti: uso eccessivo del libro di testo, lezioni frontali, “contenutismo” e scarsa progettazione per competenze. La situazione sta cambiando, quando non è già decisamente mutata. Mi si permetta di riferire una mia esperienza recente di presidente di commissione, in quanto docente universitario, per i candidati all’abilitazione tramite i percorsi formativi accademici introdotti dal Ministero. Professori giovani e meno giovani, già attivi da anni nelle scuole, utilizzano con grande scioltezza app e piattaforme, che sono (fin troppo) familiari ai ragazzi fin dai primi anni sui banchi, ricorrono poco alla lezione frontale e ancor meno al libro di testo, essendosi ben sintonizzati sul nuovo modello di didattica. Hanno capacità di progettare metodi innovativi di insegnamento e, soprattutto, manifestano un entusiasmo per la loro missione educativa, unito a dedizione e affetto per i loro studenti, che mi ha davvero colpito. Certo, il contesto di un esame fa emergere il volto migliore, la quotidianità non può essere sempre scintillante. E la scuola italiana non è esente da problemi. Ma, con buona probabilità, il problema non sono gli insegnanti. Qualcuno poco preparato, sciatto o assenteista ci sarà senz’altro, come in ogni altro gruppo umano molto numeroso. Tuttavia, mi sembra che una criticità importante stia nel contesto in cui la scuola si muove. Famiglie che non raramente sono più oppositive che collaborative con i professori, nuclei di origine straniera che faticano a sostenere i figli nel cammino d’istruzione (malgrado i grandi e sinceri sforzi di integrazione che si fanno nelle aule, dove cresce la presenza di giovani figli di immigrati) e, non ultimo, un clima sociale che esalta l’effimero e l’apparenza mentre svaluta la preparazione e la conoscenza, di cui continuiamo ad avere immenso bisogno. Insomma, caro Maranzana, resto abbastanza ottimista sui docenti che costituiscono una buona fetta del ceto colto del Paese. Nutro invece crescenti dubbi – sebbene cerchi di resistere allo scetticismo che ci contagia all’aumentare dell’età – sui riferimenti che noi adulti diamo oggi ai giovani al di fuori della scuola. Quest’ultima sopravviverà non per i metodi didattici più o meno moderni, ma solo se la sosterremo tutti – e riceverà adeguati investimenti – nel suo compito fondamentale di educare persone consapevoli e responsabili.

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