Sana fuggita dalla Siria dà un volto alla libertà

April 30, 2025
Sana è atterrata negli Stati Uniti dalla Siria 12 anni fa, con l’intenzione di restarci due settimane. Non è più ripartita. «Nel 2013, la vita che conoscevo è finita all’improvviso – spiega la giovane –. Avevo ventidue anni ed ero a Washington per un programma educativo del dipartimento di Stato. Ho ricevuto la notizia che mio padre era stato arrestato. Non ne avremmo mai più avuto notizie. Mia madre e due sorelle erano fuggite in Turchia e mi hanno detto di non muovermi, di rimanere qui». Sana non è la sola ad aver perso tutto in seguito alla brutale repressione della rivolta siriana contro il regime di Bashar al-Assad. Ma la sua storia le ha insegnato una lezione che ora vuole riportare agli americani. «I miei genitori mi hanno cresciuta nell’amore della cultura siriana, ma anche dell’apertura e del dialogo. Ci hanno sempre parlato delle ingiustizie perpetrate dal governo», racconta. Nel 2011, quando è esplosa la rivoluzione, era inevitabile che Sana e la sua famiglia vi si unissero. Forse altrettanto inevitabile è stata la risposta di Assad: arresti, torture, l’uso di armi chimiche. Sana e sua sorella maggiore sono finite in prigione per qualche giorno. «Quando all’università è emersa l’opportunità di un programma di scambio a Washington, ho fatto domanda e sono stata selezionata. Non sapevo che il viaggio si sarebbe trasformato in un esilio». Sana ero arrivata a Washington con solo un bagaglio a mano e senza salutare nessuno. «Da allora sono qui, ma ricominciare è stato incredibilmente difficile – dice –. Non possedevo nulla. Non conoscevo nessuno. Non avevo un lavoro né soldi. Ed ero paralizzata da ansia e depressione a causa della guerra e della scomparsa di mio padre. Ma ho subito richiesto asilo politico tramite il dipartimento di Stato e l’ho ottenuto». A poco a poco, Sana ha trovato dei lavori: in un ristorante, poi come ragazza alla pari. Ha imparato l’inglese guardando “Grey’s Anatomy” e “Friends”. Nel corso di un anno, ha dormito su nove divani diversi. «È incredibile che sia sopravvissuta a quel primo anno – ricorda –. La svolta è stata una borsa di studio al Bard College, nel nord dello stato di New York». In aula, Sana ha ritrovato la sua voce e la forza di guardare in faccia la depressione e il dolore. Ha anche capito che l’unico modo per guarire era raccontare la storia della sua famiglia e aiutare gli americani a comprendere la crisi dei rifugiati e a darle un volto umano. «Sono scampata dal rischio di finire in prigione, ma non sono libera. La lotta inizia quando si fugge e non finisce mai. Ho lottato per la mia sopravvivenza con l’istruzione. Finché sarò in America, continuerò a parlare della guerra in Siria e dei rischi del totalitarismo». La sua missione pone Sana in costante conflitto con il lato oscuro dell’America che impedisce agli stranieri – e, di fatto, ai suoi familiari ancora bloccati in Turchia – di entrare negli Stati Uniti. «La retorica anti-rifugiati non si allenta, anzi, peggiora ogni giorno. C’è un prezzo da pagare per ogni cosa, soprattutto per ciò in cui credi. Mio padre è stato arrestato perché si era espresso contro il regime. Non sono nemmeno sicura se sia vivo o morto. So solo che avrebbe voluto che continuassi a parlare. La mia famiglia crede nella libertà, quindi siamo disposti a morire per difenderla». Nella primavera del 2016, Sana ha partecipato a “She Entrepreneurs” in Svezia, un programma che sostiene le donne mediorientali nelle loro attività imprenditoriali, e con il suo aiuto ha fondato Sana Mustafa Consulting, società che fornisce consulenza su progetti di cooperazione per i rifugiati. Sana oggi parla spesso in pubblico sulla situazione dei profughi. «Sono consulente per organizzazioni che lavorano su progetti per le persone colpite dalle guerre. Allestisco conferenze per spiegare la crisi dei rifugiati e dire agli americani come possono aiutare. Voglio contrastare l’idea che gli immigrati risucchiano l’anima alla società americana. Al contrario: ridiamo rigore ai valori che gli americani danno talmente per scontati da non essere disposti a lottare per difenderli». © riproduzione riservata

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