Un corso di relazioni contro l'epidemia di solitudine

Joseph è stato un ragazzo introverso, oggi è psicologo e ha avviato un programma per aiutare gli universitari a uscire dall'isolamento
October 23, 2025
Un corso di relazioni contro l'epidemia di solitudine
Da giovane, Joseph Allen era un ragazzo introverso e solitario che passava molto tempo a leggere in camera sua. All’università ha fatto fatica a inserirsi, anche perché lo sport, il collante principale fra i giovani della sua generazione, non gli interessava. Emergere dall’isolamento per lui è stato uno sforzo consapevole, che ha deciso di fare quando, studiando psicologia, ha compreso gli effetti nefasti della solitudine. Oggi è il suo campo di specializzazione all’università della Virginia, dove da dieci anni, come direttore del laboratorio di ricerca sull’adolescenza, ha visto la solitudine dei giovani maschi crescere fino a diventare un’epidemia. «Un nuovo sondaggio Gallup rileva che un quarto dei maschi americani tra i 15 e i 35 anni si sentiva molto solo, rispetto al 18% delle donne della stessa età — spiega —. È preoccupante, perché questa non è solo timidezza o introversione. È isolamento. Ed è pericoloso, perché sfocia in ansia e depressione». Per aiutare i giovani uomini a essere meno soli, nel 2018 Allen ha avviato Hoos Connected, un programma che ha già dimostrato di ridurre l’isolamento tra gli universitari. «Le matricole si incontrano una volta alla settimana con facilitatori più anziani per conoscersi e parlare — dice —. Molti la considerano una delle esperienze più significative che hanno avuto all’università». Nella primavera del 2019 Hoos Connected è diventato un corso del primo anno e del secondo anno che conta per la laurea e si è diffuso anche al Virginia Tech, alla Georgetown University e alla Penn State University. Ma per Allen non è abbastanza. Dal dipartimento di psicologia cerca ancora di capire perché, negli ultimi 15 anni, gli Stati Uniti abbiano assistito a un'impennata dei livelli di solitudine, e non solo a causa del Covid. «Stiamo ancora cercando di comprendere gli effetti dei social media sui giovani. Quello che vediamo è che di certo i ragazzi interagiscono meno tra loro di persona». Allen non è sorpreso dal fatto che i giovani uomini siano più soli delle coetanee. «Sappiamo che in età adulta gli uomini tendono ad avere relazioni sociali meno forti e una rete sociale più ristretta rispetto alle donne. Ammettere di aver bisogno di compagnia è un gesto vulnerabile. Per questo penso che, sebbene il dato del 25% sia elevato, è quasi certamente una sottovalutazione». L’esperienza lo conferma. «Ho incontrato molti studenti maschi che soffrono, ma non si aprono. Online scrivono cose come: "Se i ragazzi condividono le loro emozioni, sono deboli". E mi rendo conto di quanto lavoro bisogna fare per aiutarli».
Lui stesso, del resto, ha avuto bisogno di una mano per uscire della solitudine. «Mi hanno salvato i rituali della mia epoca, gli anni Settanta. Come lavorare in piscina d’estate. La partita di football settimanale della squadra dell’ateneo. Le attività parascolastiche obbligatorie. Oggi i rituali moderni hanno più probabilità di legarci a noi stessi che agli altri. I ragazzi si allenano da soli o con le cuffie, passano ore sui social, possono vedere film in camera, leggere libri della biblioteca sul tablet, senza doverli andare a cercare». Allen è certo che la tendenza non si invertirà da sola. Lo dimostra il fatto che se la solitudine è aumentata durante la pandemia, dopo non è tornata ai livelli pre-Covid. Stando ai dati, gli americani erano più isolati nel 2024 che nel 2021. «Non è una fase — conferma Allen —. Ogni singola fascia demografica americana dedica molto meno tempo alla socializzazione rispetto all'inizio del XXI secolo, quando alcuni pensavano già che fossimo in una crisi di socializzazione». Allen sottolinea che non vuole criticare l’introversione ma l’ottimizzazione della solitudine. «Quello che sta succedendo in America può essere una scelta per qualcuno, ma i suoi effetti non sono sani, perché gli americani dichiarano di sentirsi meno soddisfatti quando trascorrono molto tempo da soli. E questo ha profonde ramificazioni politici e sociali. Non ci capiamo a vicenda perché ci vediamo meno. Personalmente, non ho dubbi: un quarto di secolo antisociale porta a un’epoca polarizzata».

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