Mayra, missionaria negli Usa per i poveri senza cure
In un sobborgo di Dallas, la signora Thompson, credente, ginecologa in pensione, con il marito ha fondato una clinica gratuita aperta a chi non ha il Medicaid

«Quando la gente entra qui, spesso è già su una brutta strada». Per Mayra Thompson, camice bianco, crocifisso al collo e voce ferma, però, nessuno è una causa persa. Alla clinica St. Paul di Lancaster, sobborgo povero a sud di Dallas, comincia sempre la giornata con una preghiera: una dozzina di medici, infermieri, traduttori e volontari si prendono per mano in mezzo alle sedie di plastica. «Ringraziamo Dio per le persone che arriveranno, chiediamo di aiutarci ad aiutarle», spiega Mayra. Poi le porte si aprono e la clinica di 110 metri quadri si riempie di immigrati senza documenti e di lavoratori che non possono permettersi l’assicurazione sanitaria. Mayra, ginecologa in pensione, 72 anni e il passo veloce, è arrivata negli Stati Uniti dal Messico a cinque anni, con i genitori e poche valigie. «Mio padre lavorava in fabbrica alla Ryerson Steel e la sera gestiva una lavanderia – ricorda –. Io piegavo i vestiti con lui. Eravamo poveri, ma lui diceva sempre: se vuoi qualcosa, buttati. Non aspettare che qualcuno ti apra la porta». È stata la prima della famiglia ad andare all’università, seguita dalla specializzazione in ginecologia a Chicago. «Ogni esame era una montagna, ma pensavo a mio padre e mia madre. Studiavo anche per loro», sorride. È in reparto, all’Università dell’Illinois, che incontra Jeff, studente di medicina. Lei supervisore, lui specializzando. «All’inizio lo rimproveravo, era troppo sicuro di sé – ricorda –. Poi ho visto quanto teneva ai pazienti». Appena sposati, si trasferiscono a Dallas quando Jeff viene chiamato a insegnare alla UT Southwestern, e Mayra trova lavoro nello storico ospedale cattolico St. Paul. «Ero un’immigrata che curava immigrate, molte messicane e centroamericane. Sapevo cosa significasse essersi fatta tutta la strada a forza di no». La fede è sempre stata una parte integrante della sua carriera, perché «quando aiuti qualcuno a nascere, o a non morire, capisci che sei solo uno strumento». Mayra comincia anche a fare brevi interventi alla radio in spagnolo per la comunità latina. «Parlavo di gravidanze, Pap-test e prevenzione. Dicevo alle donne: avete diritto di capire cosa vi succede».
L’idea della clinica, però, nasce molti anni dopo. «Siamo andati in missione in Honduras e ho riconosciuto qualcosa del mio passato – dice Mayra –. File di gente senza cure, mamme che non sapevano dove portare i bambini. Tornando a Dallas ho guardato il Sud della città e ho pensato: possiamo essere missionari a due passi da casa». I Thompson allora si sono messi a studiare la mappa della povertà della città, a visitare cliniche simili a Houston, Round Rock, Memphis, e a cercare un posto. Decisivo è stato l’incontro con Luis Gonzalez, direttore della Società di San Vincenzo de Paoli del Nord Texas, che gestisce una farmacia gratuita per i poveri. «Ci disse: ho uno spazio per voi a Lancaster – ricorda Mayra – e tutto è successo in un attimo». Nel dicembre 2023 la St. Paul Medical Clinic apre le porte. Neo-pensionati, i Thompson mettono insieme una piccola squadra e prevedono di versare 40 mila dollari l’anno di tasca propria, oltre alle donazioni che ricevono. «Siamo in una posizione in cui non abbiamo più bisogno di lavorare per soldi – dice Mayra – ma abbiamo ancora competenze da offrire». Il contesto è duro: il Texas è uno dei pochi Stati che non hanno ampliato la mutua per i poveri, il Medicaid, e oltre cinque milioni di persone non hanno assicurazione sanitaria, il 17% della popolazione. «Vediamo tanti diabetici che non hanno mai fatto controlli seri – spiega Mayra –. Se non interveniamo, tra qualche anno avranno amputazioni, cecità, insufficienza renale». Tutti sono benvenuti e tutti pagano una tariffa fissa di 35 dollari. «È per salvare la loro dignità. Inoltre, se dici “clinica gratuita”, molti pensano a un posto scadente, e non vengono». Manca ancora un sistema elettronico per le cartelle cliniche, la radiologia, un ospedale partner dove indirizzare i casi più gravi. «Ma ciò che conta è quello che possiamo dare oggi – conclude Mayra –. Mio padre ha fatto due lavori per permettermi di studiare. Molti non hanno avuto le stesse opportunità».
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