“Cetomedizzazione” e sfiducia: come sta l'Italia secondo il Censis

Il 59esimo rapporto sulla situazione sociale del Paese: di fronte al fallimento dell'Europa e della politica il ritorno alla piazza. Leader di cui fidarsi? Solo Papa Leone
December 5, 2025
“Cetomedizzazione” e sfiducia: come sta l'Italia secondo il Censis
2KDEBNN ROME, ITALY - 5 NOVEMBER 2022: National Peace Demonstration for Russo-Ukrainian war in Rome, Piazza della Repubblica
Nel tempo gli italiani hanno imparato a resistere, ad adattarsi, a rispondere con originalità e coraggio alle nuove sfide in ogni settore. Stare dentro la crisi, insomma, è diventata un’attitudine italiana aggiunta ad una scarsa mobilitazione collettiva, ritrovata solo ultimamente nelle manifestazioni a sostegno della Palestina. Nel tornare a stare insieme, gli italiani «sfebbrano gli eccessi, metabolizzano aggressività ed esclusione, contrastano molte forme di instabilità politica e sociale e si arginano le conseguenze del ritardo di sviluppo economico». Ma «l’autonoma difesa immunitaria non basta». Il 59esimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese fotografa un’Italia che ha saputo, più e meglio di altri Paesi, porsi faccia a faccia con il presente e la sua complessità. La società italiana, davanti ad un futuro sempre più incerto, ha rimodulato attese e desideri contingenti e ha contrastato sul piano economico e sociale il virus della crescita zero. La maggior parte degli italiani, diventati ceto medio (quest’anno il Censis infatti conia il neologismo “cetomedizzazione”), annusando la ridotta opportunità di mobilità sociale verso l’alto ha ridotto i consumi, non rinunciando certo a viaggiare ma facendolo in Economy e a togliersi qualche sfizio aspettando i saldi. In questo modo il ceto medio, sostiene il Censis, vive «uno stato febbrile», visto il rischio di «perdere lo status quo faticosamente conquistato».

Le manifestazioni di piazza e la voglia di contare

I recenti cortei di protesta contro il conflitto in corso in Palestina, perciò, sono stati un’occasione per gli italiani per ritrovare l’idea di poter contare, facendo sentire la propria voce, rispetto alle grandi ingiustizie dei nostri tempi. In effetti, negli ultimi anni la partecipazione sembrava soppiantata da una «cinica indifferenza e da una narcolessia senza indignazione». Perciò le ultime manifestazioni sono anche un’occasione – è la conclusione del Censis - «per comprendere se e quanto si stiano diffondendo forme alternative di coinvolgimento, magari a bassa intensità». Questo di fronte ad una crescente disaffezione per la politica e il voto. Se così nel 2003 oltre la metà degli italiani (il 57,1%) dichiarava di informarsi regolarmente di politica, vent’anni dopo tale quota è scesa al 48,2%. Parallelamente, la percentuale di chi non si informa mai è aumentata dal 26,0% del 2003 al 29,4% del 2024 - nello stesso periodo, la percentuale di chi afferma di parlare regolarmente di politica diminuisce dal 33,7% al 28,9%, mentre aumenta, seppure lievemente, la quota di chi non affronta mai argomenti politici (dal 35,5% al 36,9%). Anche la partecipazione alle manifestazioni di massa finora era sempre apparsa in discesa. Mentre nel 2003 il 6,8% degli italiani partecipava ai cortei, vent’anni dopo vi ha aderito solo il 3,3%, se si considerano solo i giovani la quota sale al 6,2%.

La debolezza della politica

Un divario sempre più ampio tra elite e popolo, che porta a far crollare qualsiasi deferenza nei confronti dei governanti e della politica, con i grandi leader tutti in ribasso, tranne il nuovo Papa, l’unico leader con una proiezione globale che conquista la fiducia della maggioranza assoluta degli italiani (il 60,7%). Il 72,1% degli italiani, infatti, pensa che ormai la gente non crede più ai partiti, ai leader politici, al Parlamento. Il 53,5% dichiara di non sentirsi rappresentato da nessun partito o leader politico. Il 62,9% è convinto che nella nostra società si sia spento ogni sogno collettivo intorno al quale tutti si possano ritrovare. Sul fronte dell’equilibrio geopolitico mondiale, un intervento militare dell’Italia nell’eventualità di un attacco sferrato contro un Paese alleato è disapprovato dal 42,7% degli italiani. E due terzi ritengono che, se per riarmarsi l’Italia fosse obbligata a tagliare la spesa per il welfare, allora sarebbe meglio rinunciare al rafforzamento della difesa. Questo nonostante - in un quadro manufatturiero in calo negli ultimi 30 mesi, infatti - l’unico segno positivo sia l’incremento del 32,3% registrato negli ultimi otto mesi rispetto allo stesso periodo del 2024 nella fabbricazione di armi e munizioni.

Il fallimento dell’Europa e il ruolo delle democrazie

L’Europa, presa in contropiede dalle nuove sfide e vittima di un percorso di vera unità mai completata, non ha saputo rappresentare il ruolo di stabilizzatore e di pacificatore. Ecco perché non stupisce che il 61,9% degli italiani ritiene che l’Unione europea giochi un ruolo poco o per niente incisivo nelle grandi partite globali, il 52,8% crede che sia destinata alla marginalità in un mondo in cui contano la forza e l’aggressività, anziché il rispetto del diritto e degli organismi internazionali. Il 55,2% degli italiani è convinto che la spinta del progresso in Occidente si sia esaurita e che ormai appartenga a Paesi di più recente sviluppo, come la Cina e l’India, capaci di imporsi nel mondo grazie a uno sviluppo economico e tecnologico impetuoso, e per merito di leadership politiche e militari inarrivabili. E il 38,8% è dell’idea che, nell’epoca selvaggia in cui ci siamo inoltrati, le divergenze tra i Paesi si risolvono mediante i conflitti armati. Così pure non stupisce, di conseguenza, che quasi la metà degli italiani (il 46,8%, ma la percentuale sale al 55,8% tra i più giovani) sia convinta che l’Italia non abbia davanti a sé un futuro all’insegna del progresso. O che il 38,7% consideri le democrazie inadeguate a sopravvivere nell’età selvaggia, quando a contare sono la forza e l’aggressività, anziché la legge e il diritto. O che il 29,7%, cioè quasi uno su tre, condivida ormai una convinzione inaudita: che i regimi autocraticisiano più adatti a competere nel nuovo mondo a soqquadro.

La situazione economica e la giustizia fiscale

L’Italia si conferma il paese del G7 che negli ultimi anni ha aumentato maggiormente il suo debito. In particolare, nello stesso arco di tempo è cresciuto dal 108,5% al 134,9%. Questo significa, e il nostro Paese non farà eccezione secondo il Censis, «i governi degli Stati debitori non solo non potranno abbassare le tasse - obiettivo sempre promesso dagli Stati fiscali e puntualmente disatteso - ma saranno sempre più costretti ad adottare politiche di rigore nei conti pubblici arrivando a un progressivo ridimensionamento del welfare». Un’ingiustizia percepita dagli italiani che per l’81,1% pensa che per riequilibrare la bilancia pubblica si dovrebbero iniziare a punire i colossi del web che sfuggono alla tassazione in Italia.

L’immigrazione

La maggior parte degli stranieri che è presente nel nostro Paese vive in una condizione di marginalità sociale. Quasi uno su tre (il 29,0%) dei lavoratori stranieri è infatti occupato a tempo determinato o ha un impiego part time involontario, mentre tra gli italiani la quota corrispondente si ferma al 17,2%. Il 29,4% svolge un lavoro non qualificato (tra gli occupati italiani la quota è dell’8,0%) e il 55,4% degli occupati stranieri laureati risulta overqualified (tra gli italiani la quota è del 18,7%). In sostanza gli italiani sono inclini a guardare con favore i residenti stranieri quando sono impiegati in lavori faticosi e poco qualificati, o nei servizi familiari, ma «non sono propensi a credere che possano godere dei medesimi diritti di cittadinanza degli italiani». Infatti, il 62,8% degli italiani pensa che i flussi degli immigrati in ingresso nel nostro Paese vadano limitati, il 58,8% è convinto che un quartiere finisca per degradarsi quando sono presenti tanti immigrati, il 54,1% percepisce gli stranieri come un pericolo per l’identità e la cultura nazionali. Solo il 36,6% è favorevole ad allargare l’accesso a tutti i concorsi pubblici a chi non possiede la cittadinanza italiana, solo il 38,3% è d’accordo a concedere agli stranieri residenti il diritto di voto alle elezioni amministrative solo il 43,5% esprime un parere positivo sul voto alle elezioni politiche per gli stranieri. Il buon vivere in provincia e le esperienze culturali
A fronte di una riduzione complessiva della popolazione residente in Italia, la popolazione invece aumenta soprattutto in città intermedie del Nord-Est e nei comuni limitrofi ad alcune aree metropolitane. Parma guida la classifica delle città più vitali dal punto di vista demografico nell’ultimo decennio i residenti nella città emiliana sono cresciuti del 4,9%. Seguono Prato (+3,8% dal 2014 al 2024), Latina (+3,7%), Mantova (+3,6%) e Brescia (+3,5%). Sul fronte culturale, gli italiani non rinunciano ancora a godere della bellezza nel nostro Paese (come anche gli stranieri), con un incremento del 1,7% dei soggiorni culturali. Ma in linea generale tra il 2004 e il 2024 la spesa per la cultura delle famiglie italiane si è considerevolmente ridotta (-34,6%), attestandosi nell’ultimo anno appena sopra i 12 miliardi di euro, cioè poco più di un terzo di quanto si spende per telefonia e pc. La caduta dei consumi culturali privati complessivi è riconducibile soprattutto alla forte contrazione della spesa per giornali (-48,3%) e libri (-24,6%).

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