Se il Vangelo riparte dal continente asiatico
«Continente del Terzo millennio per la Chiesa». Già san Giovanni Paolo II durante il suo pontificato aveva parlato diverse volte in questi termini dell’Asia. Ma doveva forse arrivare un Papa gesuita che – da giovane, sulle orme di san Francesco Saverio –
sognava di partire missionario per il Giappone, per aiutarci a vedere che questa profezia sta cominciando a realizzarsi. Durante questi dodici anni sulla cattedra di Pietro, Francesco ha sempre mostrato un’attenzione particolare per il continente più popoloso al mondo, che è allo stesso tempo quello meno illuminato dalla luce del Vangelo, pur avendo la Chiesa mosso qui i suoi primi passi. L’Asia è stata una meta privilegiata dei suoi viaggi, dalla prima visita in Corea del Sud nel 2014 fino alle ultime tappe di appena pochi mesi fa in Indonesia, a Timor Est e tra i grattacieli di Singapore. A scandire gli echi asiatici della morte del Papa è stato il grazie dei tanti che hanno potuto dire: «Solo lui non ci ha dimenticati». Per esempio il ricordo delle vittime del terribile tifone Yolanda che all’inizio del 2015 volle andare a visitare a Leyte nelle Filippine, ritrovandosi lui stesso a celebrare la Messa sotto una mantellina gialla in una Tacloban sferzata dalla pioggia e dal vento. Ma anche gli esuli Rohingya, la minoranza musulmana vittima da anni della persecuzione nello Stato birmano del Rakhine, da lui incontrati a Dhaka nel 2017 e poi da quel giorno citati spesso come esempio nei suoi tanti appelli per i rifugiati. E poi le vittime innocenti della guerra del Myanmar, cancellate molto in fretta dalle scalette dei Tg: non c’è stata settimana in cui, all’Angelus, lui non le abbia citate espressamente accanto a quelle dei conflitti in Ucraina e a Gaza, di cui parliamo tutti. Francesco è stato il Papa che ha mostrato la fiducia della Chiesa nell’Asia: è andato personalmente a Ulan Bator, in Mongolia, dove la comunità cattolica conta appena 1.500 fedeli, tenda piccola e fragile ma accogliente, piantata accanto alle altre ger di questo popolo che vive in una terra estrema incastonata tra la Russia e la Cina. Ha poi scelto Seul come sede per la Giornata mondiale della gioventù del 2027, che potrà così tornare in Asia a più di trent’anni dall’unico precedente di Manila. Si è parlato tantissimo della sua mano tesa alla Cina, con l’Accordo sulla nomina dei vescovi siglato nel 2018 e poi rinnovato più volte nonostante le difficoltà di questo cammino. Ancora più in là, però, Francesco si è spinto con il Vietnam, dove – cinquant’anni dopo il drammatico epilogo della guerra e la dura persecuzione comunista – oggi c’è un rappresentante permanente della Santa Sede ad Hanoi e la libertà religiosa ha fatto passi da gigante, come hanno mostrato anche le commemorazioni pubbliche del Papa tenute in questi giorni. Senza dimenticare la parola fondamentale detta al mondo in Giappone nel 2019, quando proprio dal Paese dove la stessa statua della Madonna porta i segni dell’esplosione atomica, lui ebbe il coraggio di sgretolare l’illusione della dottrina della deterrenza, affermando che non solo l’uso ma anche il semplice possesso delle armi atomiche è qualcosa di immorale per la Chiesa cattolica. Quello che si apre sarà di gran lunga il conclave con più cardinali elettori asiatici: le statistiche tanto citate in questi giorni parlano di ben 23 porpore sulle 135 che entreranno nella Cappella Sistina. Non è una “sbandata” di Francesco: sono il volto di una Chiesa missionaria. E un’indicazione chiara su dove si gioca davvero il suo futuro. © riproduzione riservata
sognava di partire missionario per il Giappone, per aiutarci a vedere che questa profezia sta cominciando a realizzarsi. Durante questi dodici anni sulla cattedra di Pietro, Francesco ha sempre mostrato un’attenzione particolare per il continente più popoloso al mondo, che è allo stesso tempo quello meno illuminato dalla luce del Vangelo, pur avendo la Chiesa mosso qui i suoi primi passi. L’Asia è stata una meta privilegiata dei suoi viaggi, dalla prima visita in Corea del Sud nel 2014 fino alle ultime tappe di appena pochi mesi fa in Indonesia, a Timor Est e tra i grattacieli di Singapore. A scandire gli echi asiatici della morte del Papa è stato il grazie dei tanti che hanno potuto dire: «Solo lui non ci ha dimenticati». Per esempio il ricordo delle vittime del terribile tifone Yolanda che all’inizio del 2015 volle andare a visitare a Leyte nelle Filippine, ritrovandosi lui stesso a celebrare la Messa sotto una mantellina gialla in una Tacloban sferzata dalla pioggia e dal vento. Ma anche gli esuli Rohingya, la minoranza musulmana vittima da anni della persecuzione nello Stato birmano del Rakhine, da lui incontrati a Dhaka nel 2017 e poi da quel giorno citati spesso come esempio nei suoi tanti appelli per i rifugiati. E poi le vittime innocenti della guerra del Myanmar, cancellate molto in fretta dalle scalette dei Tg: non c’è stata settimana in cui, all’Angelus, lui non le abbia citate espressamente accanto a quelle dei conflitti in Ucraina e a Gaza, di cui parliamo tutti. Francesco è stato il Papa che ha mostrato la fiducia della Chiesa nell’Asia: è andato personalmente a Ulan Bator, in Mongolia, dove la comunità cattolica conta appena 1.500 fedeli, tenda piccola e fragile ma accogliente, piantata accanto alle altre ger di questo popolo che vive in una terra estrema incastonata tra la Russia e la Cina. Ha poi scelto Seul come sede per la Giornata mondiale della gioventù del 2027, che potrà così tornare in Asia a più di trent’anni dall’unico precedente di Manila. Si è parlato tantissimo della sua mano tesa alla Cina, con l’Accordo sulla nomina dei vescovi siglato nel 2018 e poi rinnovato più volte nonostante le difficoltà di questo cammino. Ancora più in là, però, Francesco si è spinto con il Vietnam, dove – cinquant’anni dopo il drammatico epilogo della guerra e la dura persecuzione comunista – oggi c’è un rappresentante permanente della Santa Sede ad Hanoi e la libertà religiosa ha fatto passi da gigante, come hanno mostrato anche le commemorazioni pubbliche del Papa tenute in questi giorni. Senza dimenticare la parola fondamentale detta al mondo in Giappone nel 2019, quando proprio dal Paese dove la stessa statua della Madonna porta i segni dell’esplosione atomica, lui ebbe il coraggio di sgretolare l’illusione della dottrina della deterrenza, affermando che non solo l’uso ma anche il semplice possesso delle armi atomiche è qualcosa di immorale per la Chiesa cattolica. Quello che si apre sarà di gran lunga il conclave con più cardinali elettori asiatici: le statistiche tanto citate in questi giorni parlano di ben 23 porpore sulle 135 che entreranno nella Cappella Sistina. Non è una “sbandata” di Francesco: sono il volto di una Chiesa missionaria. E un’indicazione chiara su dove si gioca davvero il suo futuro. © riproduzione riservata
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