La fede dietro la missione Per i diritti umani in Cina

September 29, 2025
Altri quattro anni di carcere per avere nuovamente «provocato disordini e suscitato liti», come recita la dizione classica utilizzata nei tribunali cinesi per le attività dei dissidenti. Lo scorso 19 settembre a Shanghai – in un’udienza a porte chiuse a cui anche ad alcuni diplomatici stranieri è stato impedito di entrare – è arrivata una nuova sentenza per Zhang Zhan, giornalista e attivista per i diritti umani che nel 2020 fu tra i primi a recarsi a Wuhan per raccontare sul suo blog quanto stava accadendo con la pandemia. Quei suoi racconti le erano già costati una prima condanna a quattro anni di detenzione con la stessa motivazione, finiti di scontare nel maggio 2024. Appena tre mesi dopo, però, Zhang Zhan – che oggi ha 42 anni ed è un’avvocata a cui è viene impedito di svolgere la sua professione – era “sparita” di nuovo mentre si trovava nella provincia del Gansu, dove si era recata per incontrare Zhang Pancheng, un sindacalista arrestato per aver partecipato a proteste in difesa di alcuni lavoratori trattati ingiustamente. Non ci è voluto molto a capire che era finita di nuovo in carcere anche lei e il processo tenuto in questi giorni ha confermato che ci resterà a lungo. La notizia della nuova condanna di Zhang Zhan ha fatto il giro del mondo perché «la giornalista che raccontò la pandemia a Wuhan» è un simbolo della libertà di informazione: Reporters sans frontières e Amnesty International hanno denunciato il caso chiedendone la scarcerazione immediata, eventualità purtroppo remota conoscendo il modo in cui Pechino affronta questo tipo di vicende. C’è però un aspetto di questa storia che è poco raccontato ed è la motivazione che spinge Zhang Zhan ad affrontare le sue battaglie in favore dei diritti umani in Cina. Come, infatti, ha raccontato lei stessa è la sua fede cristiana la radice di questo impegno. La sua storia è infatti legata all’esperienza delle cosiddette “chiese domestiche” cinesi, le comunità di matrice protestante che non si riconoscono nel Movimento delle Tre Autonomie, l’organismo “ufficiale” patriottico controllato dal Partito comunista cinese che governa le realtà cristiane di matrice evangelica. Realtà informali molto attive nelle attività di evangelizzazione in Cina e per questo spesso nel mirino delle autorità locali. Nelle poche settimane trascorse in libertà l’anno scorso, Zhang Zhan intervenne in un collegamento video sul canale YouTube @5pminChina, un’iniziativa di preghiera delle comunità evangeliche della diaspora cinese per i loro fratelli in Cina. La sua fu una testimonianza molto sofferta, interrotta spesso dalle lacrime. Ma questa donna apparentemente fragile raccontò di come la sua fede l’avesse accompagnata. Ricordò di aver pregato in carcere per la guarigione dalla malattia della sua compagna di cella, trovando gioia nel vedere che Dio aveva ascoltato ed esaudito la sua invocazione. «Questa esperienza – diceva parlando del carcere – mi ha dimostrato che il Regno dei Cieli esiste e che la sofferenza nel mondo è temporanea». Un’altra testimonianza interessante sulla fede di Zhang Zhan l’ha diffusa in questi giorni Jane Wang, un amico che dall’estero sui social tiene acceso l’interesse sulla sua vicenda. Ha pubblicato il racconto di un cristiano di Wuhan che la incontrò l’anno scorso, poco prima della sua partenza per la provincia del Gantsu. «Quando seppi che voleva andare nel nord-ovest per visitare la famiglia di un prigioniero di coscienza appena arrestato, cercai in tutti i modi di farle cambiare idea – scrive –. Ma lei mi disse: “Se non lo faccio io, non ci andrà nessuno. Gli stavo annunciando il Vangelo, ora che è stato arrestato, devo andare a trovare la sua famiglia”». C’è uno sguardo missionario dietro al coraggio di Zhang Zhan. In una Cina dove sotto l’orgoglio nazionale e le frontiere strabilianti delle sue nuove tecnologie, troppe domande restano ancora senza risposte. © riproduzione riservata

© RIPRODUZIONE RISERVATA