Il cappellano del Kansas e i santi in Corea del Nord
Donare la propria vita in nome del Vangelo in un campo prigionia in una provincia a nord di Pyongyang. Tra i decreti del Dicastero delle Cause dei Santi, che dal Policlinico Gemelli qualche giorno fa papa Francesco ha autorizzato a promulgare, ce n’è uno particolarmente significativo per l’Asia: quello che riconosce come venerabile padre Emil Kapaun (1916-1951), un cappellano militare dell’esercito degli Stati Uniti morto di stenti per aver scelto di rimanere a fianco dei propri commilitoni durante la guerra di Corea. Proprio come per Salvo D’Acquisto, il carabiniere che si consegnò ai nazisti per salvare decine di innocenti, in questa causa di beatificazione si sta seguendo la via della “offerta della vita”, introdotta proprio da papa Francesco nel 2017 per indicare il gesto di chi volontariamente e a imitazione di Cristo accetta di andare incontro alla propria morte pur di non smettere di servire i fratelli. In questo caso, però, il contesto è quello delicato della Guerra di Corea, che negli stessi anni vedeva anche l’intera Chiesa di Pyongyang finire vittima della violenza del regime di Kim Il-sung. Va ricordato, dunque, che accanto a quella di padre Kapaun al dicastero delle Cause dei Santi c’è anche un’altra causa in corso che riguarda il martirio del vescovo Francis Hong Yong-ho e di altri 80 cattolici (49 sacerdoti, 7 religiosi e 25 laici) uccisi nella persecuzione comunista. Promossa dalla Conferenza episcopale della Corea sotto la giurisdizione dell’arcivescovo di Seoul (che è l’amministratore apostolico di Pyongyang), la fase diocesana è stata chiusa nel 2022 e gli atti sono stati trasmessi a Roma. In Corea del Nord tuttora non ci possono essere un vescovo o dei sacerdoti: l’unica presenza ammessa è quella di una fantomatica Associazione dei Cattolici Coreani, istituita direttamente dal governo di Pyongyang negli anni Ottanta ma senza alcuna reale concessione in termini di libertà religiosa. Ora, però, con padre Kapaun si sta probabilmente avvicinando il giorno in cui la Chiesa dirà solennemente che vi sono stati esempi di santità nella Corea del Nord della seconda metà del Novecento. Il giorno in cui questo avverrà sarà un passaggio politicamente delicato: quando nell’ottobre 2000 Giovanni Paolo II canonizzò i 120 martiri cinesi Pechino reagì molto duramente bollandoli come colonialisti. C’è il rischio che la stessa cosa succeda anche con Pyongyang per l’eventuale beatificazione del cappellano venuto dal Kansas e morto stando accanto ai soldati americani a Pyoktong? E come reagirebbe Kim Yong-un al riconoscimento del martirio di monsignor Hong Yong-ho e delle altre vittime della persecuzione a Pyongyang? È alla luce di queste domande che diventa importante che il decreto approvato da papa Francesco si riferisca alla “offerta della vita” di padre Kapaun. Nella figura di questo cappellano militare la Chiesa non benedice una guerra ma la testimonianza dell’amore verso i fratelli. Un amore che – ormai più di settant’anni dopo – è la cifra attraverso a cui guardare anche alle ferite che restano ancora aperte in Corea. Gli ultimi mesi hanno visto passi indietro molto gravi nella sfida della riconciliazione, con Pyongyang che ha persino fatto saltare in aria le strade costruite per preparare il giorno in cui il “muro” del 38° parallelo dovesse cadere. Come diceva già nel 2022 il vescovo di Suwon, monsignor Mathias Ri Iong-hoon, presidente della Conferenza episcopale coreana: «Nella dura realtà di un Paese dove continuano la divisione tra il Nord e il Sud e i conflitti ideologici, spero sinceramente che la promozione della beatificazione di questi martiri serva da fondamento per promuovere la riconciliazione e l'unità».
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