I vescovi del Giappone: un cammino di speranza
In questo tempo in cui le guerre insanguinano tante aree del mondo, è essenziale non lasciarsi schiacciare solo sul presente. Per imparare dagli errori dei conflitti di ieri e – soprattutto – operare concretamente perché altri focolai non vadano ad aggiungersi domani. È lo sguardo che proprio in questi giorni così drammatici i vescovi della Conferenza episcopale del Giappone hanno proposto con la pubblicazione di un messaggio dedicato all’80esimo anniversario della fine anche per l’Asia della Seconda Guerra mondiale, che per l’opinione pubblica nipponica significa inevitabilmente rievocare il dramma delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Il testo in questione si intitola “Un cammino di pace: portatori di speranza” e contiene parole molto forti rivolte in maniera particolare ai giovani giapponesi. Nell’immensa Tokyo e nelle altre aree del Paese la Chiesa cattolica è una presenza piccolissima, quasi invisibile tra i futuristici grattacieli delle città. Rispetto ai giovani, la principale sfida che si trova di fronte è quella di lasciarsi interpellare dalle domande di senso che affiorano tra le pieghe di una società molto competitiva. E non è un caso che proprio il tema della pace sia una delle dimensioni centrali di questo magistero. «Siamo i vescovi dell’unico Paese che ha vissuto l’esperienza di un bombardamento atomico», scrivono i vescovi giapponesi, richiamando una precisa responsabilità. In questa linea stanno rinnovando l’appello alla messa al bando di tutte le armi nucleari, rifacendosi alle parole di papa Francesco che nel 2019 – proprio a Hiroshima, rigettando la logica della deterrenza – disse con chiarezza che per la Chiesa cattolica è immorale non solo utilizzare questi strumenti di morte, ma anche solo possederli. Il messaggio per l’anniversario della fine della Seconda Guerra mondiale, però, contiene anche un elemento in più: un esame di coscienza della Chiesa giapponese sulle proprie colpe. Ottant’anni fa – riconoscono infatti i vescovi – anche «la Chiesa cattolica non riuscì a svolgere il proprio ruolo per la pace. Dopo l’era Meiji, il Giappone aveva costruito un sistema nazionale centrato sull’imperatore, e la Chiesa cercò di mostrarsi patriottica, giustificando le guerre del Giappone attraverso la teoria della “guerra giusta”. Dobbiamo affrontare onestamente questi fatti, pentirci e camminare insieme a chi guiderà la prossima generazione verso la pace». La questione del “patriottismo” non è solo un tema del passato: con il ritorno dei nazionalismi e le tensioni crescenti nell’Asia-Pacifico, anche il Giappone è ogni giorno più lontano da quel pacifismo che dopo la Seconda Guerra mondiale fu inserito come fulcro della sua Costituzione. «A Okinawa e nelle isole Nansei – ricordano i vescovi – si stanno installando unità missilistiche “per difesa”. Ottant’anni fa, la battaglia di Okinawa causò la morte di oltre 200mila persone, inclusi 94mila civili. Gli anziani oggi dicono: “Ci stiamo preparando alla guerra” e “Stiamo seguendo gli stessi passi della guerra passata”. L’orrore e il male della guerra sono sì chiari a molte persone, ma dobbiamo imparare dall’esperienza di 80 anni fa e ricordare che idee e valori instillati nella vita quotidiana cambiarono l’opinione pubblica e portarono al conflitto». È il motivo per cui, nel loro documento, i vescovi giapponesi pongono una domanda sferzante: «Il nostro Paese oggi è davvero sulla strada della pace?». Un interrogativo cruciale per tante nazioni in un’area del mondo dove oggi apparentemente non ci sono conflitti aperti, ma tutti si stanno armando fino ai denti. Forte delle sue ferite, la Chiesa cattolica giapponese ricorda che anche in Estremo Oriente la pace va costruita adesso. Prima che diventi troppo tardi. © riproduzione riservata
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