Il "secondo portiere" e sessanta secondi di gloria

L'infortunio del titolare e arriva la grande occasione: Alberto Paleari del Torino conosce quell'istante che a pochi è concesso
October 29, 2025
Il "secondo portiere" e sessanta secondi di gloria
Il secondo portiere del Torino, Alberto Paleari, festeggia dopo la partita contro il Genoa/ ANSA
Una volta era il numero 12. Nel calcio di oggi la distribuzione dei numeri è completamente saltata, ma resta il ruolo: il secondo portiere. C’è tutta una mitologia di portieri cresciuti perennemente all’ombra di grandissimi campioni, oppure di giocatori a fine carriera che accettano quel ruolo: stessi allenamenti, stessa fatica, stesso impegno eppure, magari, neanche un minuto in campo. Oppure in campo improvvisamente, perché il titolare si fa male. È questo il caso del secondo portiere del Torino, Alberto Paleari, trovatosi titolare dopo le sue ultime partite disputate con continuità nel campionato di serie C, da dove il Torino lo aveva ripescato già oltre i trent’anni d’età. Un infortunio al titolare e arriva la grande occasione. Succede in un non irresistibile Torino-Genoa con la squadra di casa che gioca un brutto primo tempo, va sotto 0-1 all’intervallo, nella ripresa pareggia grazie a un autogol e al novantunesimo la ribalta, grazie a un’incursione nell’area avversaria di un suo difensore.
Lo sport ci abitua alle emozioni e ai ribaltamenti di fronte, ma in questo caso si va oltre. Perché in quella stessa manciata di secondi rimasti il Genoa ha due clamorose occasioni: la prima con un colpo di testa a botta sicura dove il nostro uomo del giorno sfodera una parata con un intervento volante di piede, che ricorda i cartoni animati o la kickboxing, ma pochi secondi dopo si ripete, ancora di piede di fronte a una incredibile occasione del Genoa a pochi centimetri dalla linea di porta. Uno di quei gol che è più difficile non fare che fare, negato da un intervento, senza timore di smentita, con pochi precedenti nella storia del calcio. Un miracolo calcistico simile a una parata d’istinto, allungando una gamba, ma perfino meno difficile, che fece il Dibu Martinez, portiere dell’Argentina, nell’ultimo campionato mondiale in Qatar, all’ultimo minuto dell’ultima partita, la finalissima.
La “parata del secolo” si disse, perché in quel caso la risonanza fu planetaria. Di Torino-Genoa la prossima settimana non si parlerà più, ma sono sicuro che per Alberto Paleari la sensazione è stata esattamente la stessa, conoscere quell’istante che a pochi e per poco tempo è concesso: la gloria. Ed è un concetto bello, magico, da estrarre dalla cronaca sportiva perché quei secondi finali, tra il tripudio dei tifosi granata e lo scoramento di quelli genoani, restituisce in purezza il senso dello sport, del suo non avere scorciatoie, del non funzionare mai per “raccomandazioni”, ma sempre e solo per meritocrazia. Il calcio, lo sport in generale, resta quel luogo dove il figlio dell’operaio può giocare con il (o magari al posto del) figlio del padrone della fabbrica. Un presidio di democrazia e di emozioni che ci regalano due parate pazzesche di un non troppo noto e non troppo giovane calciatore, in una partita non troppo importante. «So quale è il mio ruolo nella mia squadra» ha dichiarato Paleari al termine dell’incontro e, ne siamo certi, lo rispetterà. Ma siamo altrettanto certi che quei sessanta secondi finali e quelle due parate resteranno per lui, vita natural durante, un ricordo indelebile. Quella sensazione sì, è la gloria.

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