Uno sforzo di pace oltre la tregua olimpica

L’invito al cessate il fuoco e al dialogo entrerà in vigore una settimana prima dell’inizio dei Giochi invernali di Milano-Cortina. L'importanza anche di azioni non simboliche
November 26, 2025
Uno sforzo di pace oltre la tregua olimpica
La scorsa settimana l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato, con il consenso di 165 Stati membri, la risoluzione dal titolo: «Costruire un mondo migliore e pacifico attraverso lo sport e l'ideale Olimpico». È la famosa Tregua Olimpica, l’invito al cessate il fuoco e al dialogo che tecnicamente entrerà in vigore da una settimana prima dell’inizio dei Giochi Olimpici invernali di Milano-Cortina fino alla settimana successiva ai Giochi Paralimpici. È un atto che si ripete ad ogni edizione dei Giochi estivi e invernali dal 1992, quando il Comitato Olimpico Internazionale decise di riproporre l’antica «ekecheiria» che nella tradizione della Grecia antica non fermava, ahimè, le guerre, ma garantiva agli atleti, e agli oltre cinquantamila spettatori che andavano a vederli gareggiare, di poter raggiungere incolumi il sito di Olimpia. Il Cio la riattivò in occasione della guerra dei Balcani ed entrò in vigore, per la prima volta, ai Giochi invernali di Lillehammer nel 1994. Da allora, sono passati più di trent’anni, la Tregua Olimpica è stata sempre approvata, purtroppo quasi mai applicata. La risoluzione esorta infatti gli Stati membri ad «osservarla individualmente e collettivamente», «a garantire il passaggio sicuro, l'accesso e la partecipazione degli atleti, degli ufficiali e di tutte le altre persone accreditate che prendono parte ai Giochi Olimpici» e sottolinea «l'importanza della cooperazione tra gli Stati membri per attuarne collettivamente i valori in tutto il mondo (…) per favorire la leadership degli atleti Olimpici e Paralimpici nel promuovere la pace e la comprensione umana attraverso lo sport e l'ideale Olimpico (…) e utilizzare lo sport come strumento per promuovere la pace, il dialogo, la tolleranza e la riconciliazione nelle aree di conflitto durante e oltre il periodo dei Giochi Olimpici e Paralimpici».
Insomma, in un mondo pieno di guerre e di tensioni, ancora una volta lo sport prova ad essere voce universale, strumento di conciliazione. Ho trascorso quasi tre decenni nel cuore dello sport, ho vissuto per due volte, da dentro, la meravigliosa utopia del «villaggio olimpico», so bene quanto tutto ciò, in potenza, sia vero. So anche quanto tutto ciò sia spesso disatteso. In un mondo gravido di tensioni, di guerre in atto e di altre all’orizzonte, mi auspico, me lo dico senza troppo ottimismo, che lo sport riesca in questo miracolo. Ed è per questo motivo che spedisco queste righe ad Avvenire, con un po’ di anticipo, da un aeroporto. Sono in partenza per la Palestina e quando leggerete questo articolo, se tutto sarà andato come spero, sarò arrivato in Cisgiordania dove, su invito del Comitato Olimpico locale che ha sede a Ramallah, per alcuni giorni diventerò il commissario tecnico della nazionale palestinese di pallavolo. In fondo, qualche volta, oltre alle pur meritorie azioni simboliche, serve (a maggior ragione nello sport) mettersi in gioco anche con il corpo. Racconterò di questo viaggio su queste pagine, al mio ritorno. Per ora posso solo condividere un’emozione profonda e difficilmente provata prima.  

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