Malasanità per Maria Cristina. Dove stanno oggi i giovani?
L'indignazione per la morte dell'insegnante e madre di due figli di Mazara del Vallo, che ha ricevuto la diagnosi di tumore dopo otto mesi per un ritardo nella consegna dell’esame istologico
Caro Direttore, Maria Cristina non ce l’ha fatta. Non ce l’ha fatta una di noi. La mamma e l’insegnante di Mazara, la donna che ha aspettato otto mesi l’esito di un esame istologico che le ha segnato la vita perché arrivato oltre il tempo massimo. In qualsiasi comunità, in qualunque Paese si sarebbe levato un fragoroso, inarrestabile coro di indignazione. Una richiesta ferma, seria, inflessibile e democratica di pretendere di essere curati bene.
In questi giorni in Marocco, ma anche qualche giorno fa in Perù, Serbia, Indonesia, per motivi non del tutto dissimili, la Generazione Z è scesa in piazza per chiedere una migliore sanità e una istruzione rispettata, anziché super stadi per i mondiali di calcio del 2030, Da noi, democraticamente, civilmente, educatamente, rispettosamente, ordinatamente, sembra non sia possibile. Senza accorgercene, non abbiamo più alcuna Generazione Z. Ci sono venuti a mancare, per un altrove, i ragazzi nati dal 1997 al 2012.
Vito Emilio Piccichè
Alcamo (TP)
Alcamo (TP)
Caro Piccichè,
il caso di Maria Cristina Gallo, insegnante e madre di due figli a Mazara del Vallo, morta 56enne dopo che la diagnosi di tumore è arrivata dopo otto mesi per un ritardo nella consegna dell’esame istologico, suscita dolore e indignazione ulteriormente accresciuti all’apprendere che oltre tremila referti dell’Azienda sanitaria di Trapani sono stati fermi per tempi inspiegabili, 350 dei quali riguardavano casi di cancro da comunicare tempestivamente. Un caso che la coraggiosa docente ha denunciato portando all’apertura di un’inchiesta penale che vede oggi 19 indagati. Al funerale, sabato, c’erano moltissime persone, ma nessun esponente politico, probabilmente per il timore di contestazioni. Eppure, caro Piccichè, nella lettera sottolinea l’inerzia dei nostri giovani. Le sue parole hanno particolare valore perché lei è dirigente scolastico in un liceo di Alcamo, quindi testimone diretto della generazione Z siciliana. Anch’io sono stato colpito da una giovanissima marocchina che intervistata in tv durante una manifestazione ha detto che bisogna costruire ospedali e non stadi di calcio, perché la sanità (e l’istruzione) servono a tutti. Proprio in queste settimane, molti ragazzi italiani sono scesi in piazza a favore della popolazione di Gaza e per la pace in Medio Oriente. Alcuni intellettuali e commentatori ne hanno tratto l’impressione positiva che una generazione si stia affacciando sulla scena pubblica con una nuova consapevolezza e un nuovo spirito.Si manifesta così un’apparente contraddizione tra le piazze piene pro-Palestina (con anche i circoscritti episodi di violenza connessi) e le piazze del tutto vuote pro-sanità efficiente italiana. Sembra banale, ma vedo una motivazione contingente abbastanza chiara dietro questo scenario. I giovani tra 13 e 28 anni, i cosiddetti “Z” appunto, sono nella fascia di età in cui si frequentano medici e ospedali quasi per nulla, con le poche eccezioni di rare patologie o di qualche incidente. Se di una situazione non si fa esperienza diretta, o almeno mediata ma tale da suscitare emozione e sdegno, difficilmente si scende in strada a protestare o a esprimere solidarietà. Al contrario, quei ragazzi che saltano costantemente da una piattaforma social all’altra si saranno spesso imbattuti nelle immagini tragiche provenienti da Gaza, insieme a quelle dei bombardamenti sui civili ultimamente anche quelle della carestia e delle morti per fame dei bambini. Lo choc e la sorpresa per qualcosa di inimmaginabile nella loro vita quotidiana hanno probabilmente sollecitato una parte di loro a unirsi alla mobilitazione, complice pure il caso della Global Sumud Flotilla bloccata con la forza da Israele. Vorrei, inoltre, sottolineare che la percentuale di quanti hanno preso parte attiva ai cortei è una frazione dei ragazzi italiani, pur sempre più numericamente ridotti a causa della crisi demografica. Ma così avvenne nel 1968, nel 1977 e nel 1999, con diverse modalità di attivismo: una minoranza determinata e “rumorosa” prende la scena e oscura l’inerzia degli altri. Meglio pochi che nessuno, si dirà. È vero. Perciò, caro Piccichè, dovremmo prendere la sua sconsolata constatazione sulla generazione Z come un invito a scuotersi dall’inerzia più che come un epitaffio generalizzato. Tocca a tutti noi adulti, e a insegnanti ed educatori in particolare, far capire ai giovani che devono prendere in mano il loro futuro e non lasciare che altri lo plasmino per loro.
il caso di Maria Cristina Gallo, insegnante e madre di due figli a Mazara del Vallo, morta 56enne dopo che la diagnosi di tumore è arrivata dopo otto mesi per un ritardo nella consegna dell’esame istologico, suscita dolore e indignazione ulteriormente accresciuti all’apprendere che oltre tremila referti dell’Azienda sanitaria di Trapani sono stati fermi per tempi inspiegabili, 350 dei quali riguardavano casi di cancro da comunicare tempestivamente. Un caso che la coraggiosa docente ha denunciato portando all’apertura di un’inchiesta penale che vede oggi 19 indagati. Al funerale, sabato, c’erano moltissime persone, ma nessun esponente politico, probabilmente per il timore di contestazioni. Eppure, caro Piccichè, nella lettera sottolinea l’inerzia dei nostri giovani. Le sue parole hanno particolare valore perché lei è dirigente scolastico in un liceo di Alcamo, quindi testimone diretto della generazione Z siciliana. Anch’io sono stato colpito da una giovanissima marocchina che intervistata in tv durante una manifestazione ha detto che bisogna costruire ospedali e non stadi di calcio, perché la sanità (e l’istruzione) servono a tutti. Proprio in queste settimane, molti ragazzi italiani sono scesi in piazza a favore della popolazione di Gaza e per la pace in Medio Oriente. Alcuni intellettuali e commentatori ne hanno tratto l’impressione positiva che una generazione si stia affacciando sulla scena pubblica con una nuova consapevolezza e un nuovo spirito.Si manifesta così un’apparente contraddizione tra le piazze piene pro-Palestina (con anche i circoscritti episodi di violenza connessi) e le piazze del tutto vuote pro-sanità efficiente italiana. Sembra banale, ma vedo una motivazione contingente abbastanza chiara dietro questo scenario. I giovani tra 13 e 28 anni, i cosiddetti “Z” appunto, sono nella fascia di età in cui si frequentano medici e ospedali quasi per nulla, con le poche eccezioni di rare patologie o di qualche incidente. Se di una situazione non si fa esperienza diretta, o almeno mediata ma tale da suscitare emozione e sdegno, difficilmente si scende in strada a protestare o a esprimere solidarietà. Al contrario, quei ragazzi che saltano costantemente da una piattaforma social all’altra si saranno spesso imbattuti nelle immagini tragiche provenienti da Gaza, insieme a quelle dei bombardamenti sui civili ultimamente anche quelle della carestia e delle morti per fame dei bambini. Lo choc e la sorpresa per qualcosa di inimmaginabile nella loro vita quotidiana hanno probabilmente sollecitato una parte di loro a unirsi alla mobilitazione, complice pure il caso della Global Sumud Flotilla bloccata con la forza da Israele. Vorrei, inoltre, sottolineare che la percentuale di quanti hanno preso parte attiva ai cortei è una frazione dei ragazzi italiani, pur sempre più numericamente ridotti a causa della crisi demografica. Ma così avvenne nel 1968, nel 1977 e nel 1999, con diverse modalità di attivismo: una minoranza determinata e “rumorosa” prende la scena e oscura l’inerzia degli altri. Meglio pochi che nessuno, si dirà. È vero. Perciò, caro Piccichè, dovremmo prendere la sua sconsolata constatazione sulla generazione Z come un invito a scuotersi dall’inerzia più che come un epitaffio generalizzato. Tocca a tutti noi adulti, e a insegnanti ed educatori in particolare, far capire ai giovani che devono prendere in mano il loro futuro e non lasciare che altri lo plasmino per loro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA






