Mijalby, le favole del calcio ormai accadono solo in Svezia
Incredibile: il club di un paese che non arriva a 2mila abitanti ha vinto lo scudetto svedese

Da ragazzino sono cresciuto in Umbria seguendo le vicende del "Perugia dei Miracoli" di Ilario Castagner e del presidente Franco D'Attoma, una squadra incredibile che nella stagione di Serie A 1978-’79 stabilì il record d’imbattibilità: 30 partite senza sconfitte. Allora la Serie A era davvero più umana e più vera: torneo a 16 squadre (riportiamola almeno a 18: appello rivolto al presidente della Figc Gabriele Gravina). Poi ci siamo appassionati agli scudetti dell’Hellas Verona di Schopenhauer Bagnoli di cui ricorrono i 40 anni dall'impresa, e poi quello della Samp dei "gemelli del gol" Mancini e Vialli, guidati da Vujadin Boskov e l'illuminato patron Paolo Mantovani. La Samp è stata l'ultima “provinciale” ad essersi cucita il tricolore al petto. Ma stiamo parlando di tutte realtà da oltre 100mila abitanti e addirittura della Genova doriana che è una provinciale sui generis in quanto piccola metropoli portuale, un po' come il Marsiglia in Francia per intenderci. L’ultima favola del calcio italico, da piccolo è bello, e pure forte, è stata sempre scritta a Verona, sponda Chievo, il club di quartiere della famiglia Campedelli che dopo un decennio straordinario vissuto alla pari con le grandi del calcio arrivando fino alla qualificazione in Champions, dall'oggi al domani è fallito ripiombando nell'anonimato del dilettantismo. Il Sassuolo di patron Giorgio Squinzi, ora dopo la sua dipartita in mano alla famiglia, e il Como degli indonesiani miliardari (i fratelli Hartoono), possiamo considerarle realtà esemplari da piccolo è bello, ma anche molto organizzate e strutturate soprattutto sul piano finanziario, quindi in grado di reggere all'urto delle nobili del calcio italiano. Il calcio di oggi lo sappiamo è prima di tutto uno showbiz e come tale crea gap abissali se la piccola società "non tiene dinero", e questo vale per tutta l’Europa che conta e che recita da protagonista nei teatri dei sogni.
Come lo stadio Sinigaglia guarda al Lago di Como, così lo stadio del Mjällby, nelle giornate di vento offre ai suoi spettatori fantastici spruzzi d’onda del dirimpettaio Mar Baltico. Lo Strandvallen che ospita un popolo di tifosi tre volte la popolazione locale, 6mila posti, fino a dieci anni fa era il palcoscenico di gare di serie C. La categoria più che in linea con questa società lilliputiana che ha davvero stupito il mondo. Perchè nel dibattito in corso sulla grande impresa, non regge neppure il paragone di “Leicester di Svezia”, perché il Leicester del sor-sir Claudio Ranieri che trionfò in Premier League era comunque il risultato di una struttura provinciale ma con proprietà milionaria e una città alle spalle di quasi 380mila abitanti. “Il Mjällby è il Mjällby”, dicono con orgoglio i tifosi dei gialloneri del presidente Magnus Emeus, che più che al culto degli avi e deli elfi nordici è votato alla filosofia kaizen e quando può va a ripassarla in Giappone dove si è formato come manager. La triade vincente di questo piccolo grande Mjällby si completa con il mister, Anders Torstensson e il direttore sportivo, Hans “Hasse” Larsson. Gente di sostanza, poco i-Pad in panchina e anche sulla scrivania, ma invece molte idee trascritte e trasmesse oralmente, specie a chi vuol capire che anche nel calcio moderno, dal piccolo può nascere qualcosa di grande. La tradizione contadina prosegue con Larsson che mentre giocava da centrocampista nel Mjällby continuava a coltivare fragole nella farm di famiglia. Così come mister Torstensson , ha lasciato da poco il posto fisso, professore del Dipartimento di Scienze dello Sport dell’Università di Malmö, per dedicarsi a quello che già considerava un "miracolo calcistico" ancor prima di arrivarci. E adesso Torstensson, sa che il suo nome e quello di tutti i suoi ragazzi, miracolosamente è entrato per sempre nella leggenda.
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