Al calcio italiano serve meno “conservazione” e più fantasia

Rino Gattuso chiamato all'impresa, riportare, dopo 12 anni, la Nazionale ai Mondiali
October 19, 2025
Al calcio italiano serve meno “conservazione” e più fantasia
Il commissario tecnico della Nazionale Italiana di calcio, Rino Gattuso (ANSA/Claudio Giovannini)
E’ ripartito il campionato, con i soliti livori dei club che minacciano e accusano le varie nazionali per gli acciacchi pesanti di alcuni loro tesserati rientrati dalle rispettive “battaglie” di qualificazione ai Mondiali del 2026. Non cambiamo mai. Condivido a pieno non solo i romanzi che scrive Angelo Carotenuto, ma anche la riflessione pubblicata su Repubblica in merito al calcio azzurro: «Il calcio italiano parla troppo spesso la lingua della nostalgia e della conservazione ». Verità sacrosanta. Perciò fa male Gian Piero Gasperini a scandalizzarsi se l’Italia (quella che fu di Spalletti) perde contro la Norvegia e ora, da seconda forza del girone, la Nazionale di Rino Gattuso deve inseguire il sogno mondiale giocandosi i playoff. Il prossimo marzo 2026 per il calcio azzurro sarà quello delle idi o della nuova primavera italiana? Questo è il dilemma partito al triplice fischio della pratica, quasi bellica (dati gli scontri di piazza e i veleni sociali) di Italia-Israele. Il 21 novembre, altra data da segnare nel calendario, perché dall’urna Uefa uscirà l’avversario dell’Italia. E come fa notare l’altro cronistorico degli azzurri, la voce del calcio nazionale di Repubblica , Enrico Currò, c’è il rischio che ritroviamo ancora  l’Irlanda del Nord, la Svezia o la Macedonia del Nord, ovvero le storiche compagini che «ci hanno precluso i Mondiali del 1958, del 2018 e del 2022 ».
Una "trimurti" da cancellare. Meditiamo gente. Intanto penso al fatto che un 12enne, nato e cresciuto in questa Repubblica fondata sul pallone, non ha mai visto una partita dell’Italia ai Mondiali. E se i “Ringhio Boys” dovessero fallire ancora l’impresa qualificazione, quegli adolescenti in fiore dovrebbero aspettare i Mondiali del 2030. Mondiali che saranno più itineranti di quelli del 2026 perché si terranno in parte in Sudamerica, Argentina, Uruguay e Paraguay e poi tra Spagna, Marocco e Portogallo. I mondiali americani del prossimo anno sono quasi più stanziali e il binomio con il Canada, in alternativa all’Alaska, l’avrà sicuramente pensato Trump, anche se sorge qualche sospetto, perché il più grande tragicomico americano al potere interpellato sull’argomento non avrebbe mai accettato di condividere la kermesse iridata con l’invadente e povero Messico. Ma tornando a cose di casa nostra, arrivare al Mondiale americano non sarà una passeggiata di salute.  Perché la squadra non è neanche male e Gattuso sicuramente da calabrese gli ha fatto capire almeno il concetto che chi nasce quadrato non può morire tondo. Qualcosa in attacco si muove, con il redivivo Kean e il sempre puntuale bomber oriundo Retegui. In più c’è il pulcino Pio, Francesco Esposito che dall’Inter fino a Coverciano dà segnali importanti in prospettiva. Il centrocampo con i fosforosi Tonali e Barella è una garanzia e a loro si potrebbe aggiungere anche un pensatore non solo con i piedi, Nicolussi Caviglia, spedito frettolosamente dalla Juve alla Fiorentina (stesso destino di Kean e Fagioli). La difesa regge bene a qualsiasi puzzle di giornata (Gatti, Calafiori, Mancini… e persino Di Lorenzo se deve fare il centrale), il portiere, Gigio Donarumma, qualche saponetta a parte, era e rimane il n.1 al mondo, perciò ci sarebbe di che stare quasi sereni.
Ma quello che manca, oltre al pass ovviamente per l’America, è una certa quota di fantasia, che una volta era garantita per dna dal calcio italico. Scordiamoci i Baggio, i Totti e i Del Piero, ormai i numeri 10 sono roba vintage e per rivedere certe invenzioni di Pirlo alla domenica siamo costretti a fissare lo sguardo sul caro vecchio Modric che a 40 anni suonati illumina il Milan e prova a farlo anche con la Croazia che ha appena impattato contro la Repubblica Ceca (0-0). La fantasia non è più al potere da un pezzo nella nostra Nazionale e questo ci ha portati per tutta la settimana a sperare in un colpo di tacco in tricolore dell’argentino della Roma, Matias Soulé. C’avevamo sperato che il Dybala del terzo millennio si innamorasse del progetto Gattuso e scegliesse l’Italia invece che la Seleccion. Doccia fredda invece per chi sperava nel Soulé in maglia azzurra. Nonostante l’Argentina del ct Scaloni al momento sia stracoperta per quel ruolo di fantasista postmessianico (leggasi il dopo Messi), a cominciare dal fantastico Nico Paz, Soulé non smette di sperare in uno spazio tutto suo e chiede di restare fortissimamente con l’Argentina. Capitolo chiuso per l’oriundo romanista, ora si apre quello del giovane Honest Ovonranwen Ahanor. Il forte difensore nigeriano dell’Atalanta, è nato ad Aversa, nel 2008, e il prossimo febbraio diventa maggiorenne, ma non ha ancora la cittadinanza italiana. Per il Soulé di Mar del Plata, che ha solo lontane origini anconetane, da parte di madre, il posto in Nazionale era già bello che assicurato, invece per Ahanor, nato e cresciuto da noi, in Campania, solo perché i suoi genitori sono nigeriani non ha mai potuto rispondere neppure alle chiamate, sicure peraltro dato il suo talento, delle nostre nazionali giovanili. Da sottolineare poi, che l’italianità di Ahanor è tale, che non se l’è mai sentita di giocare per la Nigeria. Questo benedetto diritto di cittadinanza è un’altra delle pecche del sistema italiano che strizza ancora troppo l’occhio a epoche nostalgiche e a un conservatorismo che fa davvero male al calcio, e non solo.

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