Cambiare sesso a 13 anni: ma chi (e come) decide sul corpo di un bambino?

Una sentenza autorizza la rettifica all'anagrafe per una bambina di La Spezia, oggi maschio. È il più giovane ad aver concluso il percorso di transizione nel nostro Paese. Pro Vita & Famiglia: «Una follia». Dal ddl del governo al caso Careggi fino alle scelte degli altri Paesi, tutto quello che c'è da sapere
December 22, 2025
Un'adolescente legge un libro
Un'adolescente legge un libro
Fino a poco tempo fa, era una bambina. Oggi, a 13 anni, per lo Stato invece è un maschio. Succede in provincia della Spezia, dove un tribunale ha disposto la rettifica dell’atto di nascita di un adolescente, consentendo la riattribuzione del sesso anagrafico da femminile a maschile, appunto. È il più giovane in Italia ad aver concluso un percorso di questo tipo e la sua storia – raccontata dal Resto del Carlino – riaccende un dibattito a cui il nostro Paese (e non solo) non è affatto nuovo.
Prima i fatti, così come sono stati ricostruiti: Giulio (il nome, ovviamente, è di fantasia) nasce femmina in una famiglia ligure assieme a una gemella. Fin da piccolo manifesta disagio per una femminilità che non sente sua: sarebbe la sorella, per prima, a notarlo e a trattarla fina da piccole alla stregua di un fratello. I genitori prendono atto della situazione e avviano percorsi specialistici che fanno emergere “disturbi dell'identità di genere”, ben presto accertati anche dal Centro di andrologia e endocrinologia dell'ospedale di Careggi al quale la famiglia si rivolge nel 2021 e dove l'adolescente viene sottoposto alla terapia farmacologica col farmaco apposito, l'altrettanto discussa triptorelina. Infine il tribunale, chiamato a pronunciarsi su un ricorso che chiede di riconoscere giuridicamente ciò che di fatto è già accaduto, dà il via libera alla rettifica dell'atto di nascita. Nelle motivazioni, i giudici richiamano «il percorso psicoterapico seguito con costanza», «le terapie ormonali praticate con successo» e «la matura gestione del disagio sociale conseguente al processo di cambiamento». Elementi che, secondo il tribunale, dimostrerebbero una «piena consapevolezza circa l’incongruenza tra il corpo e il vissuto d’identità», tale da giustificare una decisione definita «irreversibile» e finalizzata a «ristabilire uno stato di armonia tra soma e psiche». Per l’avvocato della famiglia, Stefano Genick, si tratta di una sentenza storica, perché «riconosce la solidità di un’identità di genere già consolidata nonostante la giovane età». Per altri, invece, quella stessa età rappresenta il punto più critico della vicenda. A cominciare dalla nota immediata e durissima di Pro Vita & Famiglia, secondo cui «a 13 anni un minore non può decidere nemmeno per un tatuaggio, ma può intraprendere una transizione con terapie ormonali: è una follia».
Il caso finisce alla ribalta della cronaca mentre il Parlamento discute il disegno di legge 2575, presentato dal Governo, che mira a disciplinare in modo più stringente l’uso dei farmaci per la disforia di genere nei minori. Un testo che introduce diagnosi obbligatorie da parte di équipe multidisciplinari, consenso informato rafforzato, protocolli ministeriali e soprattutto un registro nazionale dei trattamenti, affidato ad Aifa, per monitorare prescrizioni, esiti e follow-up. Il cuore del provvedimento è la prudenza: la consapevolezza che si sta intervenendo su corpi e identità in formazione, in una fase – l’adolescenza – segnata per definizione da instabilità, vulnerabilità, mutamento. Non a caso il Comitato nazionale di bioetica ha più volte richiamato la scarsità di dati di lungo periodo e la necessità di valutazioni caso per caso, raccomandando l’uso dei bloccanti puberali solo in circostanze circoscritte. Questa impostazione prudenziale è stata contestata da un (ristretto) gruppo di società scientifiche, che ha chiesto una profonda revisione del ddl, ritenuto troppo restrittivo e potenzialmente lesivo del diritto alla salute dei minori transgender: endocrinologi, andrologi, ginecologi pediatrici e sessuologi sostengono che il testo ignori le linee guida internazionali più favorevoli all’accesso alle cure e rischi di rallentare percorsi terapeutici già avviati. Di segno opposto la replica di alcune associazioni di genitori, come GenerAzioneD, che mettono in discussione la rappresentatività di quel documento, accusandolo di selezionare in modo parziale le evidenze scientifiche e di minimizzare il dibattito internazionale in corso. Richiamano le scelte più restrittive adottate negli ultimi anni da Paesi come Regno Unito, Svezia e Finlandia, dove si è tornati a privilegiare la psicoterapia come prima linea di intervento, proprio per l’incertezza sugli effetti a lungo termine delle terapie ormonali in età evolutiva.

Il caso Careggi nel 2024

Nel 2024 l'ospedale Careggi era finito nel mirino del ministero della Salute, che aveva trasmesso alla Regione Toscana una relazione ispettiva contenente undici rilievi critici sul modo in cui venivano gestiti i percorsi per minori con disforia di genere. Secondo quanto emerso, in alcuni casi i bloccanti della pubertà – in particolare la triptorelina – sarebbero stati somministrati senza un sistematico accompagnamento psicologico e neuropsichiatrico, in contrasto con quanto previsto dalle determine Aifa. Il documento ministeriale sottolineava la necessità che tutti i casi, senza eccezioni, siano valutati da un neuropsichiatra infantile e che vengano predisposte con urgenza procedure dettagliate per la diagnosi e la presa in carico dei pazienti. Uno dei punti più delicati riguardava proprio l’interpretazione dei criteri Aifa: secondo la relazione, il Centro avrebbe adottato una lettura estensiva delle indicazioni, trattando la triptorelina non come extrema ratio – da utilizzare solo dopo il fallimento documentato di percorsi psicologici e neuropsichiatrici – ma come uno strumento di intervento ordinario. Una scelta che, osservavano gli ispettori, rischia di anticipare medicalmente un esito che non può essere dato per scontato, soprattutto alla luce del fatto che una quota significativa dei casi di incongruenza di genere in età adolescenziale tende a risolversi nel tempo. Il ministero aveva inoltre rilevato criticità nei tempi della presa in carico e nella distanza tra un incontro e l’altro, giudicati eccessivi per la delicatezza del percorso, chiedendo una programmazione più strutturata, un potenziamento del personale psicologico e l’attivazione di strumenti di monitoraggio sugli effetti collaterali dei farmaci. Alla Regione Toscana era stato chiesto di trasmettere i dati clinici ad Aifa e di avviare azioni correttive entro tempi definiti.

Lo sguardo oltre l’Atlantico: la stretta americana sui minori

Il nodo dei trattamenti per la disforia di genere nei minori è diventato uno dei terreni più sensibili e controversi del confronto politico globale, tra chi invoca la massima tutela dell’infanzia e chi teme una restrizione dell’accesso alle cure. Proprio in questi giorni, la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato il Protect Children’s Innocence Act, un provvedimento che vieta i trattamenti farmacologici e chirurgici per la transizione di genere nei minori di 18 anni. Il testo è passato con un margine ristretto – 216 voti favorevoli contro 211 contrari – lungo una linea di frattura nettamente politica, con i Repubblicani compatti a favore e i Democratici contrari. La legge proibisce il blocco della pubertà, la prescrizione di ormoni e qualsiasi intervento chirurgico volto a modificare il corpo di bambini e adolescenti. Sono previste pene fino a dieci anni di carcere per i medici che violino il divieto e sanzioni anche per i genitori che acconsentano ai trattamenti. A promuovere il provvedimento è stata la deputata repubblicana della Georgia Marjorie Taylor Greene, che lo presentava senza successo dal 2022. Determinante, questa volta, un compromesso politico interno: la rimozione del suo veto al National Defense Authorization Act in cambio del via libera del partito alla legge sui minori. «Proteggere i bambini non è facoltativo: è un dovere», ha dichiarato Greene, sostenendo che chi non ha l’età per votare, guidare o farsi un tatuaggio non può essere chiamato a decisioni irreversibili sul proprio corpo. Durissime le reazioni dal fronte democratico. Il deputato californiano Mark Takano, presidente del Congressional Equality Caucus, ha definito il provvedimento «la legge anti-transgender più estrema mai approvata dalla Camera», denunciando una compressione dei diritti e dell’autonomia delle famiglie. Al Senato, dove gli equilibri sono diversi, il testo potrebbe ancora essere bloccato.

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