martedì 20 dicembre 2011
Èmorto Christopher Hitchens: aveva da poco completato la sua autobiografia, dicendosi contento di aver «avuto per tutta la vita una causa contro la quale battersi: la superstizione». Per lui lo era ogni religione, ma in particolare quella cristiana e cattolica. «Christopher" dice "portatore di Cristo"», nel caso non presagio di una vita futura. Su "Repubblica" (17/12, p. 61) da lui stesso i due cardini della sua vita: «il disprezzo per il falso conforto della religione, e il principio della centralità della scienza e della ragione». Ecco la conclusione della sua prefazione all'autobiografia: «Non sono nato per fare nessuna delle cose di cui parlo in questo libro, ma sono nato per morire». Qui sabato (p. 31) leggo che «era grato a preghiere che in tanti rivolgevano a Dio per la sua guarigione. E rimaneva aperto a eventuali "sorprese" dopo la morte». Tra i ricordi di lui oltre l'entusiasmo incantato di Gianni Riotta ("Stampa", p. 35) c'è anche su "Repubblica" una dichiarazione di Gore Vidal come sempre eccentrico, che di Hitchens disse: «È il mio erede intellettuale». Eppure "Libero" (p. 32) ricorda che fin dal titolo di una lunga intervista su "Vanity Fair" Hitchens definì tranquillamente Vidal «un loco» (un pazzo!) e da Enrico Franceschini ("Repubblica", p. 60, ma anche "Corsera", p. 58) la notizia che «Salman Rushdie ha affidato così a Twitter il suo cordoglio: "Arrivederci, mio amato amico!"». E questo "arrivederci" può dire qualcosa di più che una morte che chiude il tutto. Lui ha parlato male tutta la vita di Madre Teresa, anche insultandola, ma – la speranza non muore mai – puoi pensare che lei non gli avrà detto «arrivederci» ma: «Benvenuto, Christopher!».
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