mercoledì 1 febbraio 2012
«Ipotesi di un'"etica minima" per vivere in una società tollerante». Domenica ("Corsera-La lettura", p. 17) titolone di Telmo Pievani per "Viaggio in Italia", libro di «Tristram Engelhardt, filosofo e medico». Lo incontrai venti anni orsono su invito di "Politeia": allora una delusione. Pievani annunciando un incontro a Milano elogia il «rigore» di Engelhardt, molto «originale»: la Chiesa cattolica è troppo rigida su temi come aborto ed eutanasia? Lui diventa ortodosso e «da cristiano» per vivere «in una società tollerante» propone la «distinzione fondamentale tra… essere vivo ed… essere una persona», con «sfumature riguardanti l'inizio e la fine della vita». «Contrario all'aborto, ma riconosce questa distinzione come presupposto per una legislazione che garantisca le libertà individuali». Nessuna «rinuncia ai valori» – proclama – ma qui è la sola «condizione di una convivenza in una società eticamente pluralista». Domanda: se distingui essere vivo da essere persona potrai dire che il concepito o chi è in stato vegetativo persistente o è malato terminale è "vivo", sì, ma non è «persona»? Salverai così, forse, le libertà individuali «in una società tollerante», ma non i «valori» di principio. Altro che «sfumature»! Qualcuno ha pensato anche a «distinguere» ariani ed ebrei, bianchi e neri, cristiani, islamici e miscredenti, sani e handicappati... Era una «società tollerante»? C'è altro, però. Ieri ("La Stampa", p. 35) su un incontro a Torino. Ancora Engelhardt: «Senza Dio bioetica in scacco». Una conversione? Accanto a lui Gianni Vattimo e Maurizio Mori, un "cervello" di "Politeia", proprio quella della delusione di tanti anni fa. Qualcosa non fila…
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