Özil: le coppe, i tweet e le foto. Sic transit gloria mundi
mercoledì 25 luglio 2018
Mesut Özil è un calciatore di fama planetaria. Nel 2013 l'Arsenal lo acquistò dal Real Madrid per 53 milioni di euro che, considerando il contratto di sponsorizzazione personale da 25 milioni di euro con uno sponsor tecnico, fanno di questo trequartista uno degli atleti dal valore economico più alto della storia. Il suo talento lo ha portato a tanti successi nelle squadre di club, ma la vittoria indimenticabile e se vogliamo più iconica di Mesut Özil resta il Campionato del Mondo del 2014 in Brasile. Già, perché il ragazzo, a dispetto del suo nome, gioca con la maglia bianca della Mannschaft, la nazionale tedesca. Özil è in campo a dettare tempi e ritmi del gioco nella storica semifinale di Belo Horizonte quando i tedeschi vincono 7-1 contro i padroni di casa del Brasile e solleva la Coppa del Mondo il 13 luglio del 2014.
È l'apice della sua carriera. In tutto il mondo si racconta la storia di un ragazzo i cui nonni erano partiti dal nord della Turchia per raggiungere la Germania, il cui padre (poi diventato suo agente) faceva il ristoratore in una cittadina della Renania che si chiama Gelsenkirchen che, a sua volta, grazie al fatto di aver dato i natali al piccolo Mesut, riesce a diventare famosa per una cosa bella, scrollandosi un po' di dosso gli unici altri motivi della sua fama: essere stata sede di una succursale del campo di sterminio di Buchenwald. Özil diventa icona perfetta di integrazione, esempio di chi è riuscito a farcela. Lui, musulmano praticante che parla quattro lingue, diventa campione del mondo con la maglia numero dieci della Germania e va a farsi fotografare con la sua statua di cera esposta davanti alla porta di Brandeburgo a Berlino, uno dei posti più simbolici al mondo in tema di unione dei popoli e muri che si abbattono. Özil, l'uomo che dice di non scendere mai in campo senza aver pronunciato qualche verso del Corano e che canta con orgoglio l'inno tedesco, rilascia una dichiarazione che simboleggia la ricchezza delle differenze: «La mia tecnica e il sentimento per il calcio provengono dal lato turco, invece, la mia disciplina, l'atteggiamento, il rigore che mi permettono di dare sempre il massimo rispecchiano il mio lato tedesco». Un milione e mezzo di tedeschi che vivono e lavorano in Germania, ma che nel cassetto hanno ancora un passaporto turco, non si sono mai sentiti così orgogliosi.
Passano quattro anni. Passano (e soffiano ancora fortissimi) venti populisti e neofascisti in Europa. Özil, chissà se sottovalutandone l'impatto, twitta ai suoi 23 milioni di followers una fotografia scattata insieme a Erdogan, presidente, o forse sarebbe meglio dire dittatore, turco. Un politico, che da piccolo vendeva limonate per la strada e oggi vive in una residenza presidenziale grande quattro volte la reggia di Versailles, che amministra il suo Paese con il terrore e che qualche anno fa per negare il genocidio degli Armeni osò ammonire perfino papa Francesco. La Germania, poche settimane fa in Russia, gioca un pessimo Mondiale. Quella foto non va giù a coloro che a malincuore avevano, quattro anni
prima, assistito al trionfo sportivo e ideologico di Özil. Apre le danze il deputato (estremista) Jens Maier che dice: «Senza Özil avremmo vinto!». A ruota si scatenano polemiche infinite intorno al numero 10 turco-tedesco di terza generazione che portano Özil a scrivere un lunghissimo comunicato che sta a metà fra lo sport e la politica in cui comunica al mondo intero la sua decisione di lasciare definitivamente la nazionale tedesca. Questa volta non è un tweet, sono tre pagine fitte di argomentazioni che si possono riassumere in una frase, lapidaria: «Mi sono stancato di essere considerato tedesco quando vinciamo e un migrante quando perdiamo». Sic transit gloria mundi.
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