venerdì 17 giugno 2011
Non dobbiamo dar retta a quelli che dichiarano: Vox populi, vox Dei!, perché la sfrenatezza della folla è sempre molto vicina alla follia.

Un po' tutti, almeno una volta, abbiamo usato il motto latino sopra evocato, assegnando all'opinione dominante una sorta di sigillo divino. A smitizzare questa concezione ci pensava già nell'VIII secolo Alcuino di York, monaco ed erudito anglosassone, chiamato nel 786 da Carlo Magno a fondare e dirigere la scuola palatina in Francia, una sorta di università di corte. Figura di alto profilo intellettuale, con questo monito Alcuino ci metteva in guardia da una deriva a cui noi, uomini e donne moderni, siamo ancor più inclini. Un'abile tecnica pubblicitaria o una sottile operazione propagandistica fa diventare Vangelo la tesi dominante, elaborata spesso per gli interessi più o meno confessabili dei vari centri di potere.
Nasce, così, il consenso di massa che, in una società della comunicazione come la nostra, può estendersi anche ai valori morali che vengono plasmati e orientati come più conviene. Questo lasciarsi trainare dalla corrente, convinti che sia la strada più vantaggiosa, esime ciascuno di noi dalla fatica della critica, della verifica e, se necessario, di un impegnativo andare contro corrente. E qui mi viene in mente il suggerimento di un altro grande sapiente dell'antichità ancor più lontana, quell'imperatore romano Marco Aurelio (II sec.) che nei suoi Ricordi ci ha lasciato una specie di «breviario laico» spirituale. In quelle pagine si legge: «Quanta tranquillità ottiene chi smette di preoccuparsi di cosa dica, faccia o pensi il suo vicino e si dedica soltanto a ciò che egli stesso fa». Meno rispetto umano seguendo l'andazzo comune e più coscienza e autonomia personale.
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