mercoledì 4 marzo 2015
Sarà pure la mancanza di sbocchi lavorativi a pesare nella scelta. Assieme alla speranza, per altro ammessa esplicitamente, di acquisire competenze utili, un domani, a trovare una collocazione professionale. Ma resta la buona notizia: sempre più giovani italiani si dedicano al servizio civile e al volontariato accanto alle persone disabili assistite dall'Unitalsi. E soprattutto che lo fanno principalmente (87 per cento dei casi) per cogliere l'opportunità di una crescita personale. Lo dice la stessa organizzazione che da oltre 110 anni si dedica al trasporto dei malati nei santuari italiani ed europei. Nei prossimi giorni l'Unione terrà una sessione di aggiornamento e di formazione e, in vista dell'appuntamento, ha diffuso una ricerca da cui appunto si desume la confortante tendenza sull'impegno in questo delicato segmento del servizio agli ultimi. Dodici anni fa erano appena 27, quest'anno sono salito a 304, con un più 10 per cento rispetto al 2014. Sono soprattutto i ragazzi del sud (56,4%) a scegliere il servizio civile a sostegno della disabilità e della malattia, a seguire le isole (19,8%), il centro (17,3%) ed infine il nord (6,4%): e questo, tenendo contro del mercato nazionale del lavoro e dei tassi di disoccupazione, ha una sua logica. Ma come spiega il presidente nazionale Salvatore Pagliuca, imboccare questa strada esige «un'attenta formazione a 360 gradi, medica di primo soccorso, ma anche spirituale ed etica». E il numero uno dei medici Unitalsi, Federico Baiocco, conferma il forte fattore motivazionale: «Molti altri ancora ci chiedono di essere preparati e la loro è una scelta consapevole per un volontariato di qualità».
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