Vigneti, storia di un lungo declino
sabato 29 ottobre 2011
La vitivinicoltura in Italia diventa più piccola. In dieci anni esatti sono stati persi più di 120mila ettari di vigneto. Un taglio del 15% che pesa sul comparto, ma che indica quanto sia complicato presidiare un settore e un territorio così difficili come quelli dell'uva e del vino. Un segno dei tempi che cambiano, così come lo sono i numeri forniti recentemente sui canali di vendita dei prodotti alimentari.
A sollevare la questione del vigneto italiano che si restringe, è stata Fedagri-Confcooperative nel corso dell'assemblea annuale della sezione vitivinicola. I conti sono presto fatti: dal 2000 al 2010 in Italia, si è passati da 772.513 ettari a 651.863 ettari (-15,6%). Più contenuto il calo in Francia, che nello stesso periodo ha fatto registrare una contrazione del 9,6% e in Spagna (-9,4%). Accanto a questo, il comparto ha vissuto una «riduzione strutturale» delle produzioni, che ha comportato un taglio delle giacenze. Elementi che non significano un miglioramento dei prezzi, almeno per ora. Anzi, proprio le cooperative del vino hanno parlato di «un quadro già di per sé critico», aggravato «da una normativa comunitaria che ha dato un forte impulso al contenimento delle produzioni, attraverso il ricorso alle estirpazioni con premio». Una situazione delicata, quindi, alla quale si accostano segnali di mercato che aggiungono altri elementi di ragionamento. Secondo Coldiretti, infatti, ormai si acquista più vino italiano all'estero che in Italia. Nel 2010 siano stati esportati 21,5 milioni di ettolitri di vino a fronte di un consumo nazionale di 21 milioni di ettolitri. Bene dal punto di vista della bilancia commerciale, meno bene per i mercati interni e per l'equilibrio fra domanda globale e capacità produttiva. Da tutto questo, le richieste dei produttori cooperativi secondo i quali serve un «decisivo cambio di rotta delle politiche comunitarie», colpevoli di aver sostenuto la cosiddetta «non-produzione». Dietro ciò, d'altra parte, c'è anche la particolare collocazione delle cooperative. Il calo produttivo, infatti, può comportare anche l'aumento dei prezzi dell'uva da trasformare. In ogni caso, quello della vitivinicoltura è solo uno degli esempi del cambiamento in corso nell'agroalimentare. Proprio in questi giorni, è emerso da una indagine Coldiretti-Swg che il 25% degli italiani ha aumentato nel 2011 la frequenza nei discount mentre, all'opposto, ben il 38% ha ridotto la propria presenza nei negozi tradizionali. Il rischio? Non solo l'abbandono di un mondo (quello della qualità del negozio sottocasa o specializzato), ma anche l'estensione dell'agroalimentare a basso costo, poco controllato, attento solo alla quantità, senza regole chiare all'origine. La responsabilità di questa tendenza è ovvia: la congiuntura difficile colpisce duro anche in tavola. Con buona pace dei coltivatori che si appellano alle garanzie di origine dei loro genuini prodotti. Il cambiamento nell'agroalimentare consiste però anche in questo.
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