mercoledì 22 agosto 2018
Il viaggio di Gianni Rigoni Stern e di sua moglie Lella era iniziato come una vacanza mordi e fuggi: cinque giorni nell'ex Jugoslavia, passando per Slovenia, Croazia, fino in Bosnia. Era l'agosto del 2009 e la guerra fra serbi e bosniaci era terminata nel 1995. Le colline sopra Srebrenica gli apparvero subito come i suoi altipiani di Asiago, che Gianni conosceva benissimo, essendo un agronomo, appena giunto alla pensione. Ma la felce aquilina aveva devastato i pascoli, rendendoli velenosi per le vacche. In più c'erano gli aiuti internazionali che arrivavano quasi per lavarsi la coscienza dopo i troppi silenzi. Ed erano aiuti senza intelligenza, con vacche che magari non resistevano a quelle altezze. E morivano.
Quella breve vacanza fu travolgente per Gianni: lo mise in crisi. E dopo due mesi era già ritornato per impostare una formazione permanente di quella gente, per debellare la felce. La storia è poi andata avanti e porta il nome di "Transumanza della pace", giacché con l'aiuto della provincia autonoma di Trento è poi riuscito a portare là oltre 100 capi di razza Rendena e ad impostare un programma di inseminazione, che sta ripopolando le stalle di quella povera gente, decimata delle sue forze migliori (mariti, figli) con le case bruciate. Pochi giorni fa ho accompagnato Gianni e Lella in quei luoghi ed ho pensato che la vacanza può essere ribaltata: non un periodo per dimenticare, ma un momento per scuotere la propria umanità. La rinascita è lenta, perché quel popolo sembra poco incline all'impresa. Ho visto capre di razza Saanen, che danno il latte per i migliori caprini del mondo, ma quasi nessuno produce formaggi. Anche il latte delle Rendene viene dato alle galline se non ai cani, perché manca un caseificio, che è il prossimo obiettivo di Gianni. Del resto, se le galline si nutrono di un buon latte, le uova possono essere migliori. Ma manca il racconto, ossia quella connessione che traduce un caso in un'opportunità.
La zona di Srebrenica era famosa per le sue terme, simili a quelle di Levico, ma anche questa opportunità è rimasta inespressa. Serve una generosità intelligente, anziché quella carità pelosa che non permette di fare tratti di strada. Mi sono commosso a vedere la gente che salutava Gianni, gli stringeva la mano, gli mostrava il manto nero lucente, pulito, di quei capi bovini. E intanto a Srebrenica sono tornati i colori accanto alle case bruciate; ci sono i bambini, i campi giochi, qualche tratto di strada nuova. Il volto della pace è una cosa del genere, che ha il sapore della Rakia, il loro liquore di prugne, e del pollo arrosto cucinato nelle case e servito col cavolo cappuccio e le patate. La pace ha un gusto, mi viene da dire, che è un viatico per ricominciare.
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