sabato 9 aprile 2011
È stata inaugurata a Bruxelles una sala dedicata ad Alcide De Gasperi. Mentre assistevo alla cerimonia dialogavo mentalmente con mio padre così: «Te lo saresti mai aspettato tutta questa grandiosità di palazzi in vetro e acciaio, queste migliaia di impiegati, delegati e deputati di tanti Paesi che sembrano vivere qui in un'altra dimensione di quella che spetta a noi, gente di ogni giorno? Quando con Schuman e Adenauer vi incontravate pieni di passione per un futuro che non avreste mai visto, ma solo sognato, immaginavate di aver dato il via a un così grande fatto che avrebbe rivoluzionato il nostro vecchio mondo europeo? E mentre meditavo così un giornalista si avvicinò facendomi una domanda che spesso mi viene ripetuta: «Qual è la differenza tra l'Europa di suo padre e questa?». «La passione», risposi. Qui manca la passione che spingeva i primi padri di questa rivoluzione a mettere a rischio la propria vita politica per raggiungere quella meta che allora era capita da pochi «Per unire l'Europa " diceva De Gasperi " c'è più da distruggere che da edificare; gettare via un mondo di pregiudizi, di pusillanimità, un mondo di rancori. L'Europa esiste ma è incatenata». Sembrano parole da applicare anche oggi a questa situazione che la storia ci chiede di risolvere: la vita dei giovani e delle famiglie che lasciano la loro terra per sfuggire alla miseria e alla fame. È vero che non sappiamo, e forse non ne avremo mai la certezza, quali sono le ragioni vere per cui migliaia di persone sono disposte a cambiare Paese, abitudini, lingua, amicizie e speranze. Ed è anche vero che tutto questo ha l'impronta di una invasione della nostra terra, che disturba il nostro vivere forse mediocre, ma tranquillo, che sconvolge il modo di pensare, ci obbliga a prendere decisioni in fretta e subito. Abbiamo, in quanto europei, ancora «un mondo di pregiudizi, di pusillanimità». Stiamo dimostrando questi giorni che l'Europa cui pensavano i nostri Padri è ancora incatenata da vecchi rancori e le antiche rivalità tra i nostri Paesi sembrano offuscare le iniziative prese in questi anni per unire, per condividere, perché i problemi di un popolo siano problemi di tutti. Gli egoismi affiorano di nuovo tra le nazioni, tra le ragioni, tra il ragionare della gente. Questo tsunami che sta invadendo il nostro mondo è la prima grande prova per la nostra tanto vantata unità europea. Quale significato possono avere i nostri passi verso una più concreta unità economica, tecnica, industriale quando al di sopra non esiste ancora quella unità politica che darebbe forza e dignità nei confronti delle altre grandi realtà che spingono a dichiararci realmente una sola patria, un solo onore, un solo programma di libertà, di democrazia e di seri impegni per l'avvenire dei nostri figli? Finché non raggiungeremo questo obiettivo la nostra voce nel mondo sarà afona e impercettibile. «L'Europa ha bisogno di un'anima» diceva 60 anni fa Schuman. È ora di ritrovare quest'anima comune se non vogliamo cadere nell'apatia e nella autodistruzione.
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