sabato 27 luglio 2019
Perfino la globalizzazione, almeno nella sua "interpretazione" italiana, può avere un volto umano. Nel 2014 il presidente della Piccola industria di Confindustria Carlo Robiglio scriveva che «oggi più che mai si impone evidente la necessità di una rivoluzione culturale per rimettere al centro la Persona…. Come pilastro per sostenere la ripresa e come unica grande risorsa e speranza per il nostro futuro». Ma già qualche anno prima, nel giugno 2006, l'allora presidente dei Giovani imprenditori Matteo Colaninno affermava nel meeting annuale di Santa Margherita Ligure che «l'economia della conoscenza sta producendo una rivoluzione nel rapporto tra i fattori produttivi. Dallo sfruttamento meccanico e "paritario" di capitale e lavoro, tipico della fabbrica, stiamo passando all'esaltazione del fattore-uomo come elemento primo del successo di un'azienda e di un prodotto». Oggi l'evoluzione della globalizzazione sta dando piena ragione, nei fatti, a queste visioni.
Nella prima fase della globalizzazione, infatti, era prevalente tra economisti e opinion leaders l'idea del "fallimento" del sistema produttivo italiano, considerato una sorta di anomalia che lo sviluppo dei mercati finanziari avrebbe cancellato: troppo piccola la taglia media delle imprese italiane, troppo alto il loro costo del lavoro, troppo bassa la loro capacità di investimento in R&D. Oggi non è più così. Perché la seconda fase della globalizzazione tende a premiare la qualità delle produzioni, il cosiddetto BBF (il Bello e il Ben Fatto), rivalutando la centralità della persona. È una curva della storia tendenzialmente favorevole ad un sistema economico come il nostro. A patto che il più alto numero possibile di piccole e micro imprese del sistema manifatturiero italiano riesca ad uscire dal falso mito del "piccolo è bello", grazie a dosi massicce di managerializzazione e ad investimenti su innovazione tecnologica, formazione e qualità capaci di far crescere la produttività aziendale.
Potremmo concludere, dunque, che esistano le condizioni perché il sistema imprenditoriale italiano possa dar vita nei prossimi anni ad un "nuovo Umanesimo". Fondato su un mix probabilmente unico nel pianeta: qualità delle produzioni e qualità della vita in azienda, patrimonio storico-artistico nato nelle botteghe del Rinascimento e innovazione di prodotto nell'era globale, crescita delle dimensioni aziendali verso il mondo e sviluppo di un ruolo di leadership sociale sul territorio. È una prospettiva possibile, su cui val la pena scommettere.
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@FFDelzio
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