mercoledì 23 settembre 2020
Dal 15 al 26 agosto 2015, lo scrittore Matteo Soldi – autore, fra l'altro, del romanzo Il tramonto del Quinto Sole, sulla conquista del Messico – ha fatto un viaggio in Grecia con la figlia Chiara, e ne è venuto, appunto, il libro Viaggio in Grecia. Sulle orme dei giganti (Leonida Edizioni, pagine 168, euro 14,00). La peculiarità è di essere stato un viaggio in moto, una BMW R 1299 GS, noleggiata per l'occasione perché «la scorbutica e inospitale Buell» di famiglia, non dava garanzie. Padre e figlia, fiorentini, si imbarcarono ad Ancona con la moto carica di quasi cento chili di bagagli e attraccarono al molo di Igoumenitsa alle 9.30 del 16 agosto. Il viaggio è all'insegna della sobrietà. Piccoli hotel prenotati da Firenze, rapide soste nei bar e nei self-service, qualche notte nella propria tenda monoposto che allo scrittore sembrava un calzino in cui lui stesso doveva infilarsi come piede. Matteo Soldi è partito con l'idea di verificare i luoghi in cui era stato, da studente, trentasette anni prima. Chiara è più disincantata, anche se sua è stata l'idea del viaggio, ma la complicità fra i due sta anche nel vezzo di chiamarsi Atta (padre) e Pai (figlia), come hanno appreso dai libri di Valerio Massimo Manfredi. Non è un viaggio turistico, per ammirare «cartolineschi tramonti»: è un modo per far rivivere da rovine anche illeggibili, il mito di cui esse sono vestigia. Lo scatto narrativo sta nell'aver evitato accorgimenti letterari tipo il babbo che spiega il mito alla figlia. Le vivaci e ben assimilate storie delle Termopili, di Salamina, di Epidauro, di Micene, di Sparta, Maratona, Delfi e così via si alternano a brevi annotazioni di cronaca, menù di ristoranti, descrizioni dello sfascio urbanistico delle periferie greche, qualche bagno nell'Egeo. Il tutto sotto il solleone che impregna di sudore gli indumenti e, per fortuna, il vento della velocità della moto mitiga almeno a tratti l'implacabile impero solatio di Apollo. Particolarmente interessante il racconto del complicato ricatto di Odisseo all'indovino Calcante, in cui c'è di mezzo una spada forgiata dal fabbro Calib e il tentativo, riuscito, di evitare che Agamennone sacrifichi la figlia Ifigenia. La spada fu deposta da Calcante nel tesoro di Delfi dove rimase per venti secoli. Poi passò di mano in mano finché un principe teutonico la portò in Britannia, dove fu ritrovata confitta in una roccia dalla quale un ragazzo di nome Artù riuscì a estrarla per diventare Re d'Inghilterra. Il mago Merlino che proteggeva Artù gli rivelò il nome della spada: Ex Calib, cioè forgiata da Calib. E così il mito della Guerra di Troia si salda apocrifamente al mito dei Cavalieri della Tavola rotonda. Nel libro ci sono anche osservazioni filosofiche, per esempio sulla tragica visione dei pur ammirati culti pagani: «Certezza nell'immortalità dell'anima, eppure disperata consapevolezza di non poter raggiungere la felicità». O anche: «La grande statura di Odisseo che alla fine trova la forza di respingere le tentazioni dell'ignoto e della conoscenza, della gnosi potremmo dire, per ascoltare la voce di quel Dio sconosciuto che lo invita dal profondo della coscienza ad affrontare finalmente sé stesso e i suoi doveri di stato».
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